Recensione: Drunktank – Return of the infamous four

The infamous four are back!

“Damaging ears & drinking your beers!”: questo è lo slogan con cui i Drunktank ci presentano il loro nuovo lavoro: “Return of the infamous four”. Il disco continua il lavoro iniziato dal suo predecessore (l’acclamato “The infamous four”, uscito ormai nel lontano 2010), riuscendo però a superarlo in praticamente ogni aspetto, dalla produzione (nota di merito a Cederick Forsberg per l’ottimo lavoro con mixing e mastering) al comparto grafico. Ma andiamo con ordine: chi sono i Drunktank? Forse una delle proposte più interessanti del panorama Melodic Hardcore olandese, se non europeo, proponendo un ragionato mix tra skatepunk anni 90, scuola Fat Wreck, e metal anni 80 che sembra uscire direttamente da “The number of the beast”. Il risultato? Un disco veloce, melodico e tecnicamente eccellente. Già dalle prime note della opener “We want more” si può intuire la direzione intrapresa dal quartetto di Den Haag, capace di lasciare a bocca aperta non appena entra in gioco il cantato (eseguito magistralmente da Pim), con timbriche chiaramente ispirate al metal che fu e melodie incredibilmente catchy. Il disco procede su un binario ben definito, concentrandosi su riff geniali (direttamente dalle menti di Pim e Dorian), una sezione ritmica costantemente martellante (da attribuire a Martijn al basso e Raymond alla batteria) e testi che spaziano da tematiche attribuibili ai più incazzati dei gruppi punk (come la sfuriata anti-consumismo “We want more”) a liriche che generalmente appartengono al mondo del metal (vedi “Hellraisers”). Per quanto l’album sia molto omogeneo, vorrei portare all’attenzione due pezzi che mi hanno particolarmente colpito: “Hammer of justice”, martellata punk/metal con un guitar-work davvero eccezionale (pezzo dal quale è stato tratto un official video che consiglio vivamente di andarsi a vedere) e “Army of darkness”, il pezzo forse più metal del disco, con un testo che potrebbe tranquillamente trovarsi in un brano dei 3 Inches of Blood.
Insomma, questo disco è un bello sputo in un occhio a chi definisce morto l’hardcore melodico, un album capace di farsi notare nell’attuale oceano che è il panorama musicale e di dimostrare che il punk fatto come si deve esiste ancora, basta solo cercarlo.

Voto: 9/10

Recensione by Teo