off with their heads be good

Recensione: Off With Their Heads – Be Good

1000000 copie vendute

No, non sono matto, il nuovo disco degli Off With Their Heads non ha venduto e non venderà 1000000 copie, ma penso che le avrebbe vendute se fosse uscito nel periodo d’oro del punk rock, del grunge (si, del grunge!) e del post hc, quando ancora la musica si comprava, i dischi restavano nella memoria comune e non erano fugaci passatempi tra una foto su Instagram e l’altra. 

Prima però facciamo un passo indietro, parlare di questa band non è mai semplice, non senza prima mettere i puntini sulle i e chiarire che nonostante l’estetica e lo stile così caratteristico io rifiuto l’inutile e stupida definizione di “orgcore” che viene affibbiata ad una manciata di band che hanno proposto un determinato sound negli ultimi anni. C’è già una sufficiente carenza di band valide ed ascoltatori nel punk rock per creare ulteriori sottoclassificazioni inutili, questo è un disco punk con influenze grunge, non è il caso di inventarsi altro, anche perché Be Good parla chiaro da solo ed entra di diritto nella cerchia dei capolavori senza passare dal via.
Il mio rapporto con gli Off with their heads era fino ad oggi semplificabile in “pezzi bellissimi ma sound monotono che alla lunga mi satura”, opinione spazzata via come una scritta sulla sabbia in un giorno di tempesta da Be Good, una miscela di singoli devastanti, ritornelli disperati che non scadono nel melodrammatico, chitarre fangose che hanno raggiunto il giusto mix di sound e fantasia nei riff, mai come in questo album hanno saputo farmi scuotere la testa (you will die) ed emozionarmi (severe errand). Già con il singolo Disappear avevo teso le orecchie ed atteso l’uscita, poi messo su Be Good per la prima volta e sentito per intero non ho potuto che innamorarmene. 

Con sfuriate che strizzano l’occhio all’Hardcore come No love, dalla batteria dritta ma trascinante si passa al classico folk rock americano di Take me away che ci da un passaggio in macchina su strade percorse a velocità moderata in primavera, che alternano i paesaggi gialli del granturco alle foreste immense di aceri del nord. Tear me apart è un brano nel classico stile dei quattro del Minnesota, Trash it fa della seconda chitarra il suo punto di forza e  verrebbe voglia di suonarla in sala prove con gli amici.  Let it All è diretta e devastante ed in generale non ci sono punti deboli. In chiusura i due minuti della strumentale Death, dal sound midwest con chitarre meno aggressive, sentendola basta chiudere gli occhi per trovarsi davanti al gruppo che suona in uno scantinato tra le classiche lucine appese agli ampli e le lattine di birra a buon mercato, mentre il tutto sfuma con toni amari, lasciandoci la voglia di rigirare il vinile per ricominciare questo viaggio lungo undici canzoni.

Epitaph forse sta ricominciando ad imboccare produzioni di livello e per farlo si affida giustamente a band rodate che però non hanno ancora raggiunto il successo mainstream solo a causa dell’anacronismo idiosincratico del proporre musica rock alle porte del 2020, approfittiamo del fatto che il mercato non si sia ancora ripreso questa musica e stia volgendo i portafogli altrove, non rovinando album come questi con il veleno del mainstream, perciò, corrette al vostro negozio di dischi di fiducia e buon ascolto.

Recensione a cura di Nick Northern