Recensione: Carlos Dunga – Oltre Quella Linea
La sottile linea viola
Sono passati ormai dieci anni da quando mi imbattei nei Carlos Dunga. Al tempo ero ancora alle superiori, senza maturità e senza patente, girare per concerti era infinitamente più complicato di quanto non lo sia oggi, quindi ogni minima occasione – anche la più banale – era di importanza cruciale per assorbire quante più informazioni possibili, recuperare CD e dischi vari, spesso ignorandone l’effettivo contenuto, affidandomi a raccomandazioni e consigli di terzi. Qualche volta incappavo in brucianti e colossali fregature, qualche altra trovavo dei veri e propri tesori.
In quel periodo, per ragioni varie, ero spesso in Toscana, a volte per concerti, a volte semplicemente per cazzeggiare. I Carlos Dunga li ho scoperti così, quasi per caso, da una neonata etichetta D.I.Y. di alcuni miei cari amici – la BeggarGod Records, uno degli embrioni che sarebbero andati poi a svilupparsi nell’odierna Punti Scena Records – a cui presi il loro primissimo 7” e lo split CD con i Deep Throat. Da allora ho avuto la fortuna di vederli decine di volte su e giù per lo stivale, e una volta persino di farmi brutalizzare nella nobile arte del biliardino (a.k.a. calcino). E’ un po’ come rivedere un vecchio amico, che vedi spesso e quindi su cui a fatichi a notare i segni del passare del tempo. Ad ormai quasi cinque anni di distanza del bellissimo Sabato Nero, lo squadrone thrashpunk fiorentino non invecchia, ma decanta e matura, sia musicalmente sia per quanto riguarda il contenuto; i testi sono intimi, personali, a volte sognanti e quasi esasperati, una finestra da cui si assiste ad uno spettacolo che ci ripugna, ma che non ci si arrende a non voler raccontare e descrivere con rabbia e cinica speranza. La lama delle liriche viene poi ulteriormente affilata da un sound che altro non è che una sintesi perfetta tra l’hardcore italiano più classico e le chitarre al fulmicotone dei migliori Iron Maiden, evidenziando spesso delle vere e proprie virate verso sonorità thrash metal. E tutto ciò è ben lungi dall’essere un difetto.
Undici tracce, undici rasoiate, tutte cantate in italiano, oltre all’inconfondibile firma di Claudio Elias Scialabba nella copertina, i cui lavori ormai sono un marchio di fabbrica per moltissime uscite di alto profilo del panorama D.I.Y. nostrano; una registrazione limpida, cristallina ed attenta, che mette perfettamente in risalto le formidabili trame di chitarra che non potranno assolutamente lasciarvi indifferenti. Oltre quella linea è proprio questo, un album notevole, che monopolizza l’ascolto, che vi costringerà ad essere ascoltato e riascoltato e che – my two cents – si candida già come una delle uscite dell’anno, e se volete capire il perché vi sarà sufficiente attendere un po’ e di ascoltarvi canzoni come il re caduto oppure – la mia preferita in assoluto – l’età dell’ansia, una sorta di creatura ibrida nata dall’incrocio dei Sottopressione con gli Iron Maiden di Powerslave; per ora ripassatevi il promo che trovate su YouTube. L’ennesima conferma di come la sincerità, la voglia di mettersi in gioco ed il D.I.Y. siano sempre la formula vincente.
PS: Se non ti piacciono gli Iron Maiden, dalla vita non hai capito davvero un cazzo.
Rash