Bay Fest 2017: Bellaria Igea Marina, 13-14-15 Agosto

Scrivere della terza edizione del Bay Fest non è semplice, anche perchè di cose ne sono capitate in
questi tre giorni di punk rock. Ci provo. Si parte in treno, in quello che diventerà una sorta di viaggio della speranza e tra un’umidità degna della foresta amazzonica e svariati cambi, arrivo accaldato ma carico al bay camp. Tanto per cambiare, c’è la tenda ma manca il martello per piantare i picchetti, si vede che non ho fatto il boy scout; poco male, chiedo in giro e subito mi rendo conto che ci sono parecchi punk provenienti dalle più disparate zone del globo terracqueo.
Inizialmente non ci faccio caso, ma col passare del tempo, un pensiero mi rimane in testa e poi si concretizza. “Che il Bay Fest possa diventare un super mega fest di più giorni, tipo il Punk Rock Holiday?”. Francamente mi auguro di sì, ma solo il tempo saprà rispondere a questo quesito, intanto posso dire che il numero di giorni è aumentato insieme alla qualità.
Dopo aver fatto un giro per Igea Marina ed aver fatto un tuffo in mare, mi accorgo che l’orario di apertura porte si fa sempre più vicino, quindi mi dirigo verso l’ingresso del Parco Pavese, dove si terranno i tre giorni di concerti.

Day 1:
Le bancarelle non sono tante ma di qualità, su tutte spiccano Sea Shepherd, Agripunk (anche se a dire il vero erano fuori, ma mi andava di citarle) e Flamingo Records.

Neanche il tempo di rendermi conto di dove sono che attaccano puntuali i Lennon Kelly, band attiva dal 2011 che autodefinisce il suo stile “Folk Rock e Rural Punk”. La loro proposta musicale, che include anche una buona dose di Irish punk, non è nei miei ascolti, tuttavia sono ottimi musicisti e hanno dimostrato di trovarsi a proprio agio sul palco.

Arriva l’ora dei Pears, band di New Orleans attiva dal 2014. Avevo ascoltato qualcosa e mi era piaciuto parecchio ma dal vivo sono davvero di un altro pianeta. Scatenati e di impatto incredibile con pezzi veloci, infuriati ma anche melodici e armonizzati bene soprattutto nei cori e nei ritornelli. Il cantante Zach si mangia il palco e ad un certo punto gli parte il matto e scende giù tra il pubblico. Grandissimi, sia dal punto di vista musicale che da quello dell’intrattenimento. Da citare Zach che inciampa sulla cassa spia proprio a inizio concerto, la canzoncina di compleanno per la loro tour manager Lisa e la mitica “Judy Is A Punk” dei Ramones fatta a velocità impressionante.

Ancora sconvolto dall’esibizione dei Pears, mi accorgo che il telone è cambiato ed è l’ora dei Raw Power. Li ho visti molte volte e ho un rispetto incredibile per loro. Partono maluccio a causa di problemi tecnici alla chitarra che aveva un suono orribile, ma dopo aver risolto, ci danno dentro e nella seconda parte del loro show sono devastanti come sempre. “State Oppression” chiude la loro scaletta scatenando quei, purtroppo, pochi davanti al palco. Amen, rimangono leggende e sarà sempre un piacere vederli.

Dopo qualche chiacchiera, è l’ora degli Undeclinable Ambuscade, gruppo olandese appena riunito. Non avevo una conoscenza smisurata della band, ma il loro stile mi piace.
Appena saliti sul palco mi contagiano con la loro spensieratezza e la loro voglia di divertirsi tipica del punk anni ’90. Rimango stranito quando mi accorgo che hanno tre chitarre e che non formano né tutto sto “muro”, né hanno tutta sta utilità, però chissene. Jasper alla voce fatica un po’ sulle note alte ma è di un’allegria contagiosa. La band è piena di energia e sfoggia il meglio su “Can’t Bring Me Down”, “Love Story” con picchi sulla mia preferita, ovvero “7 Years” che vede la partecipazione della cantante e “The African Song”, che chiude la scaletta e fa ballare tutti i presenti. Applausi!

E’ la volta dei Less Than Jake, band attiva dal 1992 e originaria di Gainesville. Indubbiamente il mio gruppo ska-punk preferito, di loro avevo letto che fossero incredibili dal vivo e ne ho avuto la prova. Sono straordinari, anche perchè partire col pezzo più famoso “All my Best Friends Are Metalheads” e poi non calare né di intensità né di qualità significa che sul palco è come stare a casa tua. Tutti i presenti hanno ballato fino all’ultima nota, con “Johnny Quest Thinks We Are Sellouts” che è stata partecipatissima e cantato a squarciagola. Passione immensa, tecnica strepitosa e grande simpatia e voglia di intrattenere sono stati i cardini della loro performance. Uno dei gruppi più coinvolgenti che abbia mai visto. Chapeau.

Dopo questa ora abbondante di energia pura torno in tenda pronto a rigenerarmi per godermi il secondo giorno che si prospetta scoppiettante.

Day 2:
La giornata inizia con il caldo che crea una cappa insostenibile all’interno della tenda, per cui mi getto in mare e, come il primo giorno, si fa la solita routine dei fest: si gira il paese, si salutano amici e amiche, si mangia (piadine a go go) e si beve.

Entrati nel Parco Pavese ad aprire le danze sono i Linterno, gruppo bolognese attivo dal 2002 che arriva finalmente su un palco di quelli da far tremare le gambe. Ci sono rimasto un po’ male per il fatto che abbiano suonato un quarto d’ora scarso e che abbiano dovuto tagliare la scaletta, ma ahimè i tempi sono stretti e tocca accettare. Quella canzone in più non cambia la storia, hanno dato tutto e hanno sfruttato al meglio quest’occasione. Pezzi hardcore tirati con la giusta vena melodica. Complimenti regaz, speriamo di rivedervi presto!

Cambio palco velocissimo e tocca ai 7years, band che arriva dalla “west coast, da Livorno” come dice il cantante Matteo. Hanno anche loro poco tempo a disposizione e lo sfruttano bene, partendo con un brano veloce e sostenuto, costruendo una scaletta dove troveranno spazio canzoni vecchie e nuove (è uscito da poco “Lifetime”, il nuovo disco), veloci e melodiche. Concludono, se non erro, con “Tell Me A Story” che mi è rimasto in mente per il ritornello molto catchy. Non li conoscevo e mi hanno stupito in positivo!

Cominciano gli Andead, band punk rock di Milano attiva ormai dal 2007, decennale per loro. Ahimè non mi piace la loro proposta musicale e dal vivo non mi hanno colpito più di tanto. Dite quello che volete, mica può piacere tutto eh! Dategli comunque un ascolto per farvi un’idea.

Il tempo di scambiare due parole con un amico che mi accorgo che tutta la gente si sta spostando sotto il palco; per forza, tocca agli Shandon! Parto dal presupposto che forse ero l’unico in mezzo a non conoscere neanche una canzone della band lombarda, per cui quello che dirò vale doppio. Sono stati una figata e hanno tirato su un live da paura. Hanno ballato e saltato tutti grazie alla loro proposta ska-core e ho deciso che li approfondirò!

Da qui in poi si salvi chi può, è l’ora delle tre band californiane che hanno fatto la storia. I primi a salire sul palco sono i Good Riddance, band che è tra le mie preferite e che purtroppo in Italia non mi sembra sia apprezzata quanto meriti. La band è carica e nell’ora a disposizione alterna pezzi vecchi a brani dell’ultimo disco (superlativo) con “Disputatio”, intro di basso potentissimo che risulterà il migliore del nuovo corso. Russ alla voce fatica un po’ ma la band è in forma e si muovono parecchio sul palco coinvolgendo bene anche il pubblico a tratti. Poco altro da dire, hanno tirato giù tutto durante “Letters Home”, “Weight Of The World”, “Heresy, Hypocrisy and Revenge” e “Salt”, con “Mother Superior” cantata a tutto volume dai presenti. Chiudono la loro ottima esibizione con quel capolavoro di “Shit Talking Capitalists”, poco più di un minuto sparato dritto in faccia. Immensi.

Il telone issato mi fa capire che è l’ora dei Pennywise, band attiva dal 1988 proveniente da Hermosa Beach, California. Delle tre volte che li ho visti, questa è stata la migliore. Partono a bomba e hanno dei volumi impressionanti, il pubblico si scatena e loro sono sul pezzo. Su “Can’t Believe It”, secondo brano della scaletta, parte un pogo infernale e la band si lascia trasportare. La successione delle canzoni è perfetta e fanno le giuste pause nei giusti punti, con tanto di tre cover “T.N.T.” degli ACDC, “(You Gotta) Fight For Your Right (To Party)” dei Beastie Boys e l’immancabile “Stand By Me”. Ormai mi rassegno al fatto che non faranno mai “Homesick” che è la mia preferita, ma non importa, sono strepitosi e sul palco sono dei maestri. “Society”, “Fight Till You Die” e “Fuck Authority” sono i pezzi più seguiti assieme a “Perfect People” e “Peaceful Day”, mentre il finale “Bro Hymn” dedicata come sempre al mitico Jason Thirsk, fa scoppiare in un tripudio la folla che canta fino all’ultimo ritornello questa pietra miliare del punk.

Concluso questo incredibile concerto è l’ora del professore e della sua banda. Tocca alle leggende del punk rock: i Bad Religion. Salgono sul palco e attaccano con “American Jesus” che infiamma i quattromila e passa presenti. Dopodiché proseguono con “New Dark Ages”, “Do What You Want” e “Atomic Garden”. Partenza con i controcosiddetti, come si suol dire. La band di Los Angeles sembra accendersi con l’energia della folla e viene perciò a crearsi una sinergia tra gruppo e pubblico che non ha eguali. Roba da brividi. Nella parte centrale della scaletta “I Want To Conquer The World”, “Fuck You” e “Come Join Us” riescono a tenere alto il livello dell’esibizione con la gente che canta a squarciagola ogni singola parola. Prima dell’encore, i Bad Religion decidono di sfoggiare “Los Angeles is Burning”, “21st Century (digital boy)”, “Generator”, “Sorrow” e “Punk Rock Song”, giusto per sfoderare i pezzi da novanta prima della finta fine. Risaliti sul palco c’è spazio per gli ultimi tre pezzi, con “Infected” e “Fuck Armageddon…This is Hell” che non lasciano scampo ai presenti. Poco da dire, Bad Religion semplicemente sontuosi, con Brian Baker impressionante negli assoli, Greg Graffin che “insegna” e Jay Bentley nel ruolo di showman del gruppo.

Dopo questa meravigliosa serata si fanno le ultime chiacchiere e poi tutti a nanna. O in after, dipende dalle vostre inclinazioni alcoliche.

Day 3:
La giornata parte bene, come al solito, con l’ormai classico bagno in mare, piadine come se piovessero (come durante i Less Than Jake) e aver ritrovato vecchi e nuovi amici. Ah, a pochi euri ho trovato degli occhiali che fanno troppo anni ’90, ma questo in fondo non vi interessa!

Si rientra nell’area concerti, pronti a mangiarsi e respirarsi la polvere come nei giorni precedenti.
Partono i LineOut, band di Robecchetto con Induno (MI) con cui avevo già dimestichezza, avendo recensito il loro “Guardians Of Punk Rock”, nome importante, disco favoloso.
Dal vivo mai visti, per cui ero carico e nonostante il poco tempo a disposizione, l’hanno sfruttato benissimo. Pezzi tirati e stacchi imperiosi. Tecnici da paura, un bassista assolutamente fenomenale e un’attitudine che colpisce. Hardcore melodico come si deve, non saranno d’impatto immediato vista la forte componente tecnica, ma fidatevi che spaccano!

Le Cattive Abitudini, band nata dalle ceneri dei Peter Punk, partono a cannone con la loro proposta punk rock melodica cantato in italiano. Non sono un fan di questo genere e non mi fanno impazzire, però diamo a Cesare quel che è di Cesare. Sul palco hanno dato tutto, sanno starci e hanno coinvolto bene il pubblico tenendo un gran ritmo per 20 minuti e facendoci sedere e poi saltare sull’ultimo pezzo.

I terzi a salire sul palco sono i Vanilla Sky che a livello musicale secondo me non è che c’entrino tantissimo con questi tre giorni. Il loro pop-punk con molte influenze alternative non fa per me e dal vivo non mi hanno fatto cambiare idea. Anche qui stesso discorso degli Andead, qualcuno mi odierà, ma viva la sincerità.

E’ tempo degli Ignite, band socialmente e politicamente impegnata, come quelle del secondo giorno è con una “positive-attitude” molto contagiosa. Cito subito la canzoncina di compleanno dedicata a Simone degli NH3 (chiamateli al Bay Fest l’anno prossimo!) e il momento in cui hanno chiamato sul palco a fare un discorso i volontari di Sea Shepherd Italia. La partenza è di quelle che non si dimenticano, con il pubblico che finalmente si spinge in avanti a saltare e pogare. Zoli alla voce è straordinario e noto subito che ha lo stesso look di Jim Lindberg dei Pennywise (sarà per quello che era stato lui il sostituto alla voce dei Pennywise per un periodo?!). Adoro il loro punk rock che sa essere potente anche quando non accelera e mette la giusta linea melodica in ogni pezzo. La band è carica e conclude il proprio set con “Bleeding”, capolavoro cantato come se non ci fosse un domani dai presenti.

Puntuali come un orologio svizzero arrivano sul palco gli Anti-Flag, che per l’occasione portano come telone una bandiera americana rovesciata. La band di Pittsburgh non ha mai nascosto la sua vena politica, anzi ne ha fatto un mantra da inizio carriera. Ho molto apprezzato la scaletta che parte con “The Press Corpse” e include pezzoni quali “1 trillion dollars”, “Fuck Police Brutality”, “Die For The Government”, “This Machine Kills Fascists” e “Turncoat”. I loro discorsi antifascisti, antirazzisti, antisessisti e anticapitalisti vengono apprezzati molto dal pubblico che si lascia coinvolgere e trasportare dalla grinta del quartetto. Per me rimangono il gruppo migliore che abbia visto nei tre giorni e ci tengo a sottolineare che non li conoscevo molto. Si sono divorati il palco, saltando, correndo e facendo cantare la folla in ogni canzone. Prestazione eccellente con l’ultimo brano cantato in mezzo alla gente. Fuck transenne!

Difficile riprendersi dopo una esibizione del genere, quindi tocca ai Face To Face, storico gruppo con Trever Keith, punto fermo nella line-up dal ’91 ad oggi e un bassista impressionante che risponde al nome di Scott Shiflett. Partono con 1-2-1-2-3-4 “You’ve Done Nothing” e continuano alternando classici quali “Walk The Walk”, “Ordinary”, “I Won’t Lie Down”, “I’m Trying” con brani come “Bill of Goods” con tanto di coro effettuato dal pubblico e altri dell’ultimo, stupendo, disco “Protection”. Chiudono la loro scaletta con “Disconnected”, forse la più famosa, sicuramente la più partecipata. Seconda volta in Italia per loro, seconda volta che li vedo. Io li adoro e il loro stile punk rock veloce e diretto li rende uno dei miei gruppi preferiti. Inoltre hanno un significato importante per me e per Radio Punk, visto che questo progetto parte nel 2011 poco dopo aver visto loro e i No Use For A Name a Bologna. Semplicemente grandiosi.

Dopo dei lunghi preparativi è l’ora degli headliner di quest’ultima serata del Bay Fest 2017. Rise Against che si presentano con dei video su dei monitor che accompagneranno l’intera performance della band di Chicago. Capitanati da Tim, voce e chitarra, il gruppo è famoso per il suo impegno sociale e politico e per il suo stile molto melodico e di forte impatto, oltre che per la voce meravigliosa e inconfondibile del cantante. Dal vivo sono strepitosi, hanno una carica addosso pazzesca e la passione con la quale suonano è da applausi. Il feeling col pubblico è forte e l’inizio con “Re-education (Through Labor)” mette tutti d’accordo. La scaletta vanta al suo interno brani che han reso celebri la band come “Satellite”, “Give It All” e “Ready To Fall” e chiude la scaletta coi capolavori “Prayer of The Refugee” e “Savior” che mandano in visibilio i presenti. Gran concerto e soddisfattissimi si va prima a dormire e il giorno dopo, tutti a casa.

Siamo a fine report, quello che avevo da dire l’ho detto, come sempre scrivere e recensire è sempre un piacere e inoltre mi fa tornare alla mente bei ricordi. E’ stato un fest bellissimo e mi sono divertito da matti, facendo il pieno di punk rock e avendo rivisto vecchi amici e avendone conosciuti di nuovi; per correttezza non faccio nomi e non ne ho fatti durante il report perché mi dispiacerebbe dimenticare qualcuno, ma chi ha passato con me anche solo due minuti del suo tempo durante questi tre giorni sa sicuramente che è qui dentro queste righe.
Faccio i complimenti allo staff del Bay Fest e alle band e con il cuore colmo di gioia vi saluto e spero presto di beccarvi in qualche concerto punk!

Ed ora per concludere al meglio, ecco la rubrica più amata dai fan di Radio Punk: la top e flop 3! Ma questa volta sarà solo top, perchè l’attitudine positiva degli Ignite mi ha contagiato, per cui SOLO per oggi, niente flop. Solo cose belle, per quelle brutte c’è sempre tempo!
Una critica costruttiva però devo farla: lo dirò sempre e l’ho sempre detto: “ma ai concerti quelli auto-organizzati, quelli belli D.I.Y. (do it yourself), tutte ste migliaia di persone…” No, no… non dirò il solito “ma dove siete?!” ecc ecc, vi dirò semplicemente questo: cominciate ad andarci raga, perché c’è un mondo là fuori oltre ai gruppi grossi e ai mega-festival. Andate, supportate, socializzate, amate il punk rock. Per i mega fest e i gruppi grossi c’è sempre tempo, ma scegliete di sostenere la gente che si sbatte e i punk che hanno una voglia matta di suonare e diffondere il proprio messaggio con la musica. Daje rega, che se siamo di più anche a quei concerti che finora avete snobbato, ci si diverte di più! Basta blaterare, ora si ride e si scherza!

TOP 3:
1. il Flabongo. Per chi c’era la prima sera non potrà dimenticare quando i Less Than Jake hanno fatto salire un fan che aveva un beerbong a forma di fenicottero. Sei un genio amico!
2. Spazzaturaman! Quell’idolo che faceva le piroette e altri gesti tecnici-atletici-balistici sopra il bidone della monnezza. Questo è il circo che ci piace, non quello con gli animali. Grande e basta.
3. la felpa degli Anti-Flag, ovvero una sfilza di anti:
Anti-Racist
Anti-Homophobia
Anti-Sexist
Anti-Capitalist
Anti-Transphobic
Anti-Fascist
Anti-Nationalist
Anti-War
Anti-Flag
Oh, nella vita bisogna essere chiari! D’accordo su tutto, bel messaggio, diretto ed efficace, oltre che punk. Bello il retro della felpa con una stella formata dai fucili spezzati. Voto 10+.

Grazie mille per aver letto questo live report, ci si vede là in mezzo, davanti a chi suona!

Live report di T.S., E.P.
Tranduzione di E.C.