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The Ex and Tom Cora – Anarcopunk suonato col violoncello: che bomba!

Marco Pandin ci parla del MIMI Festival, di R.I.O., The Ex and Tom Cora e del loro “Scrabbling at the lock”

“…Non si viene qui per stare seduti a guardare una rockstar che si esibisce. La nostra è una sfida all’immobilismo, alla noia, all’esistenza grigia. L’idea è riuscire a creare un ambiente pacifico dove, col pretesto di ascoltare o di produrre della musica, gente venuta da lontano possa incontrarsi, discutere, conoscersi e fare amicizia con altra gente venuta da lontano. Non occorre essere dei musicisti per avere qualcosa da dire: è una cosa che viene dal cuore…”.

Scritte quasi quarant’anni fa, in un primo momento queste frasi possono sembrare la descrizione di un raduno musicale anarcoide ritagliata da una fanzine idealista, o da uno di quei volantini sognanti e desiderosi di libertà che al tempo circolavano spesso in provincia da noi a nordest. E invece no, è roba che viene dall’ovest e da oltralpe: è il manifesto del primo MIMI Festival. MIMI sta per Mouvement Internationale des Musiques Innovatrices – non so il francese, magari mancano gli accenti giusti, scusatemi.
Nel luglio 1986, ad appena un paio di mesi di distanza dal disastro di Chernobyl come a ribadire ad alta voce la nostra voglia di vivere, opporci e resistere nonostante l’orrore e la devastazione, Ferdinand Richard riesce a mettere in piedi a Saint-Rémy in Provenza un raduno internazionale di musiche controcorrente e mi spedisce un invito e un pacco di volantini. Ferdinand è un caro compagno francese di R.I.O., cioè Rock in Opposition, una rete internazionale di musicisti (ne facevano parte tra gli altri gli inglesi Henry Cow, gli svedesi Samla Mammas Manna, i belgi Univers Zero e i nostri Stormy Six) che si opponeva alla politica delle etichette discografiche maggiori nonché alla noia e all’appiattimento della cultura ufficiale creando e diffondendo in maniera militante della musica spesso bizzarra e difficile da incasellare in un genere specifico, sempre e comunque lontana da obiettivi commerciali. L’associazione, oltre che un sodalizio artistico, si caratterizzava anche in senso politico radicale – ad esempio i vari gruppi e musicisti praticavano l’autogestione, l’autoproduzione ed il sostegno reciproco, e nei propri paesi spesso militavano in formazioni di sinistra nelle accezioni più o meno ortodosse, e nei movimenti ecologisti e libertari. Buona parte dei vari gruppi era attiva dai primi anni Settanta (Henry Cow e Stormy Six già dalla fine degli anni Sessanta), ma R.I.O. giunse a consolidarsi quando in Inghilterra era nato da poco il punk. 

Avevo incontrato Ferdinand nel settembre 1977 ad un concerto (il suo gruppo apriva le date degli inglesi Henry Cow) organizzato a Venezia grazie al sostegno e allo sbattimento della radio degli anarchici: aveva solo qualche anno più di me, suonava il basso e cantava con gli Etron Fou Leloublan, base operativa francese di R.I.O. – un trio dallo stile indefinibile e affascinante. L’associazione che segue e promuove il MIMI Fest, da lui fondata, ha avuto una certa fortuna e negli anni è diventata una componente importante della macchina culturale marsigliese. Allora però il festival era solo una cosa piuttosto piccola, organizzata fino a un certo punto e da quel punto in poi improvvisata: l’idea di fondo era che anche tu potevi farne parte, e il tuo contributo era importante tanto quello di chi si ritrovava a farsi ascoltare dal palco.

I concerti del primo MIMI Fest si tengono in un’arena da corride e il biglietto d’ingresso costa una miseria. In cambio offrono cibo sonoro che a me piace parecchio, tipo gli Skeleton Crew in una dirompente formazione a tre (Fred Frith e Tom Cora con Zeena Parkins) e Les Batteries, un trio di batteristi pirotecnici formato da Guigou Chenevier, Rick Brown e Charles Hayward – quest’ultimo suonava coi This Heat, era amico di Steve Ignorant ed aveva sostituito Penny Rimbaud dietro i tamburi ad uno dei primi concerti dei Crass. L’ultima sera sul palco gli Etron Fou nuovamente insieme dopo tanto tempo. 

Le date del MIMI Fest cadono giuste giuste nel periodo di ferie che mi era stato assegnato in ufficio – impossibile non approfittare della fortuna e non andarci. Riesco a pigliare a prezzo d’occasione un biglietto del treno Venezia-Lyon-Avignon e mi fiondo in Francia, a Saint-Rémy ci sia arriva poi comodi con l’autobus. Una delle cose che scopro appena arrivato è che il paese è invaso da un popolo vario e multicolore di musicisti, appassionati e curiosi: il festival sembra attirare gente che suona e che ascolta di tutto – dal barocco al jazz al prog al punk e oltre, senza mettersi grossi problemi nel mescolare le proprie preferenze a quelle degli altri. Molti sono giovani, sembra grossomodo della mia età, e noto qualche famiglia coi bambini piccoli. Chiedo informazioni all’ingresso all’arena e riesco a trovare posto in un alberghetto in centro, una struttura che ha una certa età ma che offre stanze pulite e supereconomiche. 


L’aria che si respirava lì al Fest era proprio di quelle giuste, e l’idea di coinvolgere attivamente i partecipanti funzionava, e funzionava bene ma così bene che ti veniva proprio voglia di muoverti, di aiutare, di contribuire in qualche modo: sentivi che stava accadendo qualcosa di bello e volevi farne parte.
Impossibile non fare amicizia con qualcuno: veniva spontaneo sorridersi, avvicinarsi per poi ritrovarsi a parlare e si finiva col mangiare insieme a quelle e quelli che fino a poche ore prima erano degli sconosciuti venuti da non importa dove. Ognuno portava un po’ del proprio cibo e lo metteva su un tavolo comune, c’era sempre qualcuno che avesse qualche birra o del vino fresco da condividere e ti capitava di offrire in giro la frutta e il pane o i biscotti che avevi comprato in paese. 

Era bello mescolare le nostre lingue e dialetti, ne veniva fuori una specie di esperanto italo/german/franc/spanglish a cui io aggiungevo i miei schizzi di veneziano. Le occasioni per parlare e scambiare quattro chiacchiere, e magari stabilire alleanze e complottare, non mancavano di certo, così come il buon bere che senz’altro aiuta a creare complicità. Il primo giorno, per dire, incontro Amy Denio una punk magra magra bionda bellissima e sorridente appena arrivata dalla costa nordovest degli Stati Uniti con i piedi dentro gli anfibi e un basso elettrico a tracolla. E condivido cibo e risate con Nick Didkovsky il chitarrista dei Doctor Nerve, newyorchese mezzo tedesco, umorista strabiliante dal sorriso e l’allegria contagiosi nonché professore di matematica col pallino dell’informatica. 

Al Fest ci sono anche degli italiani, tra cui Alessandro Achilli e Paolo Chang dei Maze 1066 – di lì a neanche un paio d’anni con Riccardo Pioli avrebbero dato vita alla meravigliosa rivista Musiche, tutta nera fuori ma col cuore rosso. E faccio amicizia con ragazze e ragazzi tedeschi, svedesi, inglesi, olandesi, austriaci, spagnoli, svizzeri oltre che francesi, addirittura ce ne sono alcuni venuti apposta fin qui nella Francia meridionale dall’Europa dell’Est – un’impresa allora per niente facile perché i muri costruiti intorno ai loro paesi erano ancora saldamente in piedi e presidiati da guardie armate. 
E’ proprio in questo giro storto di nuove conoscenze e relazioni che nasce e si sviluppa il passaparola per partecipare a “F/Ear this!”, che è stata la prima iniziativa musicale a sostegno di A/Rivista Anarchica che ho curato e pubblicato.

“…Concentratevi bene sulla vostra improvvisazione e, quando arriva il momento, mettetevi a suonare qualcos’altro. Sorprendetevi! In questo modo sarete molto più aperti alla musica di chi sta suonando con voi…”. (Tom Cora)

C’è musica praticamente sempre e dappertutto. Al MIMI Fest la musica non arriva solo la sera dal palco: succede che durante la giornata si può suonare liberamente e sperimentare collaborazioni. Nomi più conosciuti e gente senza nome che si ritrova insieme a improvvisare per avvicinarsi, per conoscersi, per divertirsi, per stare bene e far star bene. Non serviva essere strumentisti eccezionali per gettarsi nel mucchio e vedere cosa salta fuori: perché non provare, dunque?
Una delle presenze costanti delle jam session pomeridiane era Tom Cora, americano della Virginia trapiantato a New York City e violoncellista di enorme talento. Sembrava quasi che tutti si fossero messi in coda per riuscire a suonare assieme a lui. Tom l’avevo già incontrato dentro a parecchi di quei dischi tutti storti che piacciono a me: nello storico “Environment for sextet” di Andrea Centazzo, insieme a Eugene Chadbourne e John Zorn, con i Curlew di George Cartwright e Bill Laswell. Avevo preso il primo album degli Skeleton Crew “Learn to talk” e un paio di loro cassette assassine registrate dal vivo e li avevo visti/sentiti suonare in concerto un paio di volte neanche due anni prima – allora, e non ho cambiato idea, li trovavo assai più aggressivi, illuminanti e politicamente consistenti di parecchio anarcopunk autoreferenziale e derivativo.

Ma che cazzo ci fa un violoncellista dentro a Radio Punk? Ve lo dico subito. Trovo che il primo dei due dischi che Tom Cora ha realizzato in collaborazione con gli olandesi The Ex – vale a dire “Scrabbling at the lock” del 1991 (il successivo “And the weathermen shrug their shoulders” del 1993 è altrettanto notevole, ma un po’ gli manca il fattore sorpresa) abbia rappresentato per il punk anarchico un’illuminazione zen: un’indicazione chiara che le contaminazioni di stile non comportavano necessariamente un impatto sonoro annacquato, o una concentrazione inferiore o, peggio, una qualche sorta di deviazione commerciale che comportasse il deteriorarsi dell’integrità e della determinazione.

Tom era tutto l’opposto di un violoncellista normale da cui come minimo ci si aspetta della compostezza e una faccia seria. Il suo strumento era stato modificato ed equipaggiato con deviazioni elettroniche, anche di sua invenzione – a volte sembrava imbracciasse una specie di mitragliatrice o una chitarra ultraspaziale, altre volte una sega elettrica, altre volte che avesse rubato il fiato e la magia a una sirena. Il suono inusuale del suo cello combinato all’abrasività degli anarcopunks hanno prodotto due bombe sia soniche che ideologiche: sono due dischi potenti, roventi e incompromissori, e sono la prova che rimanendo integri e coerenti e saldamente inossidabili alle lusinghe del mercato si potevano intraprendere mille e mille altre possibili rotte artistiche, tutte da scoprire, e cominciare a parlare altrettanti linguaggi. Tutti nuovi.

Questa è “A door”:

La guerra per me
è una porta

aperta, e tutt’a un tratto
in una frazione di secondo
crolla il mondo intero.
C’è qualcuno in piedi lì

con delle terribili notizie,
quella voce che ti dice
che tuo figlio è morto.

Gli Ex erano un collettivo misto ragazze/ragazzi di ventenni olandesi che alla fine degli anni Settanta avevano messo in piedi un gruppo anarcopunk spinti da serie e profonde motivazioni politiche e sociali oltre che per la voglia di fare musica insieme: negli anni a venire, in tanti li avrebbero accostati agli anarchici inglesi Crass come determinazione e radicalità. Praticavano sin dagli esordi, e con un’attenzione ed un impegno che sconfinavano nel rigore, l’autogestione totale della propria attività – dalla costruzione collettiva all’arrangiamento dei pezzi alle registrazioni, dalla stampa e dalla diffusione dei dischi all’organizzazione dei concerti. C’erano Terrie Ex, Luc Ex, Andy Ex… avevano deciso di chiamarsi tutti col medesimo cognome ed affrontavano qualsiasi questione, dai turni delle pulizie in sede alla corrispondenza da sbrigare, con molta gioia e consapevolezza. 

L’album “Scrabbling at the lock” realizzato con Tom Cora valse agli Ex il Popprijs 1991 (il premio più prestigioso nel loro paese in tema di popular music), e credo sia stata la prima volta al mondo che un collettivo anarchico venisse ufficialmente riconosciuto dallo stato come “produttore di cultura”. Il gruppo riuscì a negoziare con l’amministrazione cittadina la stabilità di alcuni spazi che aveva occupato da tempo ad Amsterdam, risanandoli e migliorandone la struttura ed offrendo alla città la propria base come quella vera e propria fabbrica creativa che era. C’era un’a cerchiata dipinta sul portone dopo l’occupazione, che nel tempo non si è mai sbiadita. 

Questa è “Fire and ice”:

Come mettere a confronto il male con il male?
Si riescono a sottrarre i morti di El Salvador dai morti dell’Iraq?
Si riescono a sottrarre i cileni torturati dai curdi avvelenati?
E con chi scambiare lo sterminio dei vietnamiti?
Chi fa i conti con una memoria cattiva
chi racconta bugie sapendo di raccontare bugie
chi vuole mettere a confronto il male con il male
si merita la guerra che gli tocca.
Quelli che fanno i conti fanno la punta alle matite
proprio come i soldati affilano le baionette.
Pesano i milioni di morti sulle bilance del potere.
Dividono la paura per l’onore.

Sottraggono le radiazioni dai profitti.
Nessuna pietà per chi ha il conto in rosso.

Città in cambio di pozzi di petrolio
bambini in cambio di prestiti
libertà in cambio di potere.
Lavorano notte e giorno con fuoco e ghiaccio.
Fanno i conti e il risultato è zero.

Morto nel 1998 ad appena 44 anni, per un cancro che se l’è portato via velocemente, Tom Cora aveva trovato in Europa amore, famiglia e terreno fertile per i suoi sogni di musicista rivoluzionario. Si era trasferito da questa parte dell’Atlantico solo otto anni prima.

Intervistati da Mario Bossi per A/Rivista Anarchica in occasione di un concerto di fine millennio al Cox18 a Milano, a proposito di Tom gli Ex hanno usato parole commosse: “Suonare con lui è stato un grande momento del nostro percorso creativo, portò un sacco di musica meravigliosa dalla quale fummo tutti ispirati. Introdusse un nuovo modo di suonare nella nostra band. Con lui siamo cresciuti tutti musicalmente…”. E ancora: “E’ stato un grande amico ed un grande compagno. Noi eravamo una band e lui era un solista, ma non ci siamo mai sentiti come due parti separate: eravamo come sei amici. Ci piacevamo a vicenda, come persone e come musicisti…”.

“Scrabbling at the lock” è stato un’esplosione del tutto imprevista: per il giro del jazz d’avanguardia è né più né meno che una cacca di cane depositata sulla porta di casa. Per il giro degli improvvisatori più snob è un’eresia, è uno scandalo, uno sputo sulle scarpe lucide. Per i giri punk è una raffica di sberle in faccia che però rappresenta una trasfusione di linfa vitale, nutriente, energica e salutare non solo a livello di progettazione e costruzione sonora ma anche e soprattutto di apertura mentale, di condivisione: l’anarchia finalmente tolta dalla naftalina della retorica e messa in pratica. E’ stato questo il suono del movimento antagonista e radicale in Europa, lo è stato per tutti gli anni Novanta, ha ispirato parecchi dei gruppi venuti dopo e per molti versi un punto di riferimento importante lo è ancora.

Gli Ex sono attivi, insieme e separatamente in numerosi progetti, ancora oggi: nel 2024 il gruppo celebra i quarantacinque anni di attività e quasi duemila concerti in 45 paesi. Stampano ancora e diffondono i loro dischi da soli. Nel corso degli ultimi due anni Arnold De Boer, uno dei cantanti che si sono avvicendati nel gruppo, è venuto più volte nel nostro paese a presentare il suo album solo a nome Zea con dentro tutte canzoni scritte in lingue diverse. Luc Klaasen, il bassista, ha fatto parte di formazioni irraccontabili come Roof e 4Walls, ed è stato tra i fondatori di Konkurrent (con ogni probabilità il primo a offrire insieme in catalogo punk hardcore e musica sperimentale), divenuto col tempo un importante distributore indipendente. Tony Buck, uno dei numerosi batteristi che hanno fatto parte del collettivo, fa parte del trio The Necks e ha suonato in mezzo mondo partecipando a progetti con supermusicisti bombaroli come Evan Parker, John Zorn e Lee Ranaldo dei Sonic Youth. Terrie Hessels ha realizzato ibridi sonori inafferrabili in compagnia di profeti visionari del jazz meno allineato come Paal Nilssen-Love e Han Bennink.

Pensate poi a come si chiudono i cerchi: gli Ex e Tom insieme hanno suonato al MIMI Fest del 1993. Col pretesto della musica gli olandesi e l’americano avrebbero potuto limitarsi a fare le linguacce e spaccare qualche vetro – sarebbero finiti su MTV e sulle copertine delle riviste specializzate, come i Sex Pistols o i Clash. E invece, per far passare a tutti i costi attraverso le loro dita fin dentro alle nostre orecchie la loro idea di società nuova, hanno usato i loro strumenti per scardinare insieme porte e finestre, e siccome non bastava hanno distrutto parecchi muri divisori fatti di mattoni, di fili spinati e di pregiudizi. Ci sono riusciti sul serio, e come, a smantellare e polverizzare i confini, a smilitarizzarli e cancellarne la pretestuosità, a volarci sopra e a farci volare sopra noi.  

Articolo a cura di:
Marco Pandin
stella_nera@tin.it

Le foto degli Ex e Tom Cora presenti nell’articolo sono state scattate al MIMI Festival 1993 da Sergio Amadori