Intervista agli Anti-Flag!

Approda finalmente su radio punk l’intervista agli Anti-Flag, storica band anarchica proveniente da Pittsburgh, che con il suo particolare punk rock ci fa da sempre scatenare sotto il palco, con show energici e coinvolgenti.
Alle domande del nostro staff risponde il bassista e cantante Chris #2. Bando alle ciance, godetevi l’intervista e non perdeteveli nelle tre date italiane:
-8 giugno, Zona Roveri, Bologna
-9 giugno, Malt Festival, Arluno(MI)
-10 giugno, Rock Town, Cordenons (PN)

Radio Punk: Ciao! cominciamo l’intervista ringraziandovi e dicendo che è un grande piacere poter scambiare quattro chiacchiere. Abbiamo apprezzato moltissimo, sia in cuffia che live, i vostri ultimi due dischi, che possiamo considerare un album doppio. Quali sono i piani per il futuro? Avete in previsione nuove uscite?
Anti-Flag: C’è il progetto di portare a termine questo capitolo degli Anti-Flag. Ci stiamo lavorando. Non abbiamo molti dettagli, ma andrà a completare la storia di American Spring e American Fall.

RP: Sicuramente, almeno musicalmente, c’è stato un cambiamento rispetto agli esordi.  Che cosa vi ha portati a questa evoluzione? C’è qualcosa che vi manca dei primi tempi come band?
AF: Onestamente no. Siamo più bravi a suonare e a tirare fuori le idee che abbiamo in testa. Naturalmente quando sei un musicista di merda a volte proprio a causa dei tuoi limiti nascono per caso belle cose, ma preferiamo il punto in cui siamo ora musicalmente. Ma amiamo ancora le canzoni che abbiamo creato in passato.

RP: Tra le canzoni di “American Fall” ce n’è una che risalta dal punto di vista musicale, ossia “When The Wall Falls”. In passato avete fatto altre canzoni stile ska, come “Bacon” o “That’s Youth”, con risultati sempre più che positivi. Ma come scegliete lo stile di una canzone ? Avete in mente di sperimentare altri generi in futuro?
AF: Risposta breve? Sempre. Amiamo tutti i tipi di musica. Quella canzone suonava
bene solo eseguita in questo modo.

RP: La vostra performance in Italia al Bay Fest 2017 l’estate scorsa ha lasciato tutti a bocca aperta e per molti è stata ritenuta la migliore del festival. Quest’estate tornerete in Italia per tre date, siete carichi? Vi abbiamo visti dal vivo molte volte, ed in ogni occasione, trasmettete energia pura: c’è qualche momento particolare che ricordate di un concerto?
AF: Grazie. Bay Fest è uno di quei festival che ci piacerebbe rifare. Posto bello, persone gentili, ottimo cibo vegano… festival eccellente.

RP: Tornando ad “American Fall”, qual è la vostra canzone preferita dell’album e qual è quella più divertente da suonare?
AF: “Wall falls”, “Trouble”, “The criminals”… ce ne sono un sacco che ci piacciono.

RP: Parlate spesso della situazione politica e sociale del mondo. Negli Stati Uniti come in Europa, la xenofobia ed il nazionalismo stanno prendendo sempre più piede nonostante il ricordo del fascismo e del nazismo non sia poi così lontano. Secondo voi perché queste ideologie continuano a diffondersi?
Al momento qual è la vostra opinione sulla situazione politica attuale? Avete speranze per la costruzione di una società migliore?
AF: Abbiamo sempre speranza. Gli Anti-Flag si basano sull’idea che si possono trovare affinità non in base alla provenienza, al colore della pelle, alla quantità di denaro che possiamo o non possiamo avere, all’identità sessuale, o altre divisioni, ma alla nostra umanità. Il mondo sta cambiando. Il neofascismo si aggrappa alle vecchie ideologie, all’ultima manciata di potere che hanno, usano queste divisioni per separarci, riducendo così la nostra capacità di combattere la loro retorica… è una tattica che in superficie funziona, ma sempre più giovani passano alla politica dell’empatia. Queste sono le persone che lasceranno il mondo migliore di come l’hanno trovato.

RP:Come nasce la collaborazione con Spinefarm Records? Cosa ne pensate delle Major e in generale del business che c’è nella musica, vista la vostra attitudine punk?
AF: Pensiamo che vendere dischi sia capitalismo, non crediamo in quel sistema, ma è quello in cui viviamo.  Cerchiamo di lavorare con persone gentili e giuste, finora a Spinefarm sono stati così. Vogliamo che i nostri dischi siano disponibili a prezzo equo. Abbiamo lavorato con stronzi nelle majors, abbiamo lavorato con stronzi nelle etichette indipendenti e DIY. Le persone di merda sono ovunque, è per questo che cerchiamo di fare del nostro meglio per comprendere veramente la situazione prima di accettare di lavorare con qualcuno. Ed è per questo che abbiamo avuto quasi sempre ottimi rapporti di lavoro come band.

RP: Che cos’è il punk per voi? Pensate sia possibile rimanere punk affrontando determinate questioni politiche e sociali, in chiave anarchica, anti-capitalista e anti-autoritaria, anche dentro il business musicale, che al contrario si basa su soldi, compromessi e gerarchie?
AF: È politica. Perché tutto è politica. Come spendi i tuoi soldi, le cose che indossi, quello che metti nel tuo corpo. Tutte queste cose. Il punk rock è contro lo status quo. Lo status quo è mettere il profitto prima della gente, spremere il pianeta come un limone per le sue risorse. Vivere con empatia, fottendotene non solo di te stesso è punk rock. È semplice.

RP: Il vostro ultimo lavoro è ricco di contenuti chiari e diretti, comprese le testimonianze/note presenti in fondo al libretto. Il vostro essere concretamente attivi nelle lotte e prendere seriamente a cuore le tematiche sociali attraverso manifestazioni e concerti vi rendono un modello per tante persone. Ad oggi, guardando la scena punk, credete che quest’ attitudine si stia perdendo o al contrario si stia rafforzando (sia da parte delle band che da parte del pubblico)?
AF: Non possiamo parlare di quello che fanno le altre band. Nell’era digitale, in cui sempre meno persone acquistano dischi fisici, vogliamo fare in modo che quelli che lo fanno abbiano tutto sull’album cioè ispirazioni e canzoni.

RP: Parlando della vostra storia, quando avete iniziato a suonare, a chi vi ispiravate? Avreste mai pensato di arrivare dove siete ora e come vi sentite nel poter vivere di ciò che amate fare? Cosa vi spinge a continuare dopo tanti anni?
AF: Volevo solo suonare punk rock. Non mi importava come. Volevo solo esprimere le mie rabbie e frustrazioni, il mio amore e la mia empatia. Billie Joe Armstrong e i Green Day mi hanno aperto la porta. Ora voglio solo essere parte di una storia, una band che ha fatto del suo meglio per lottare contro il razzismo e il nazionalismo, l’omofobia e la transfobia, il bigottismo di qualsiasi tipo.

RP: Siamo quasi alla fine, ancora un’ultima domanda. In un momento storico così delicato l’importanza della musica e dei suoi messaggi è fondamentale, infatti con il vostro ultimo album, “American Fall”, l’avete dimostrato, dando continuità alla vostra storia. L’avere testi politicizzati vi ha mai creato problemi? E perché secondo voi molte band della scena punk tendono a non schierarsi, a non vedere i problemi che li circondano, a non denunciare ciò che di sbagliato accade nel mondo… in fondo non è questa l’anima del punk?
AF: Paura. Le persone hanno paura di abbandonare la propria ipocrisia, e quella paura non permette loro di essere veramente liberi. Abbiamo avuto problemi con i nostri testi, posti che non ci permettevano di suonare, paesi che non ci facevano entrare, ma non è un deterrente. Vogliamo prendere le decisioni migliori per la nostra capacità di  condividere ciò in cui crediamo, non lasciare che la paura ci comandi.

RP: Siamo ai saluti, vi ringraziamo di cuore per la vostra disponibilità e ci teniamo a ringraziare anche Hub Music Factory. Vi lasciamo allo spazio libero dove potete dire ciò che volete ai nostri lettori. Grazie ancora per la passione e per i contenuti che trasmettete in ogni pezzo! Alla prossima!
AF: Aspetto con ansia gli show! Passiamo sempre dei bei momenti nel vostro Paese. Ci vediamo sotto il palco!

Intervista a cura di Stef, Chiara Piva, Gabriele Marangoni, Elvira Cuomo, Tom, Zoe.