“Visto Per Censura” libro/CD raccontato da Max dei Contrasto
Max, voce dei Contrasto, ci parla del nuovo progetto “Visto per censura” (libro/cd, cospirazione punx-hc 2021)
Idee, parole. Musica, autoproduzioni. Poesia e azione. Quando pensiamo ai Contrasto, pensiamo inevitabilmente a ciò. Quando Max di Reggio Emilia e Max dei Contrasto – che non smetteremo mai di ringraziare – ci hanno coinvolto in questo “Visto Per Censura”, non ci abbiamo pensato mezzo secondo. Neanche un minimo dubbio. La bellissima scusa, come dice Max, di partire dal punk hardcore per far riverberare l’immaginario di chi vive luoghi abominevoli qual è ad esempio il carcere in ogni sua ritraduzione, rende questo libro/CD dei Contrasto uno dei progetti più carichi di significato che ricordiamo. Il poter condividere ricordi, esperienze e idee con delle persone, amici e compagni incredibili quali sono tutti coloro che hanno permesso questa uscita ci riempie di felicità, soprattutto perchè attraverso questo vettore, torniamo a parlare di un tema importante come quello delle carceri e abbiamo la possibilità di tornare a relazionarci, partendo da qualcosa di nuovo in mano che è un semplice oggetto, arrivando poi a ciò che è fondamentale per noi: parlare, discutere, confrontarci e magari – come dice sempre Beppe Battaglia – prendere il largo.
Vi lasciamo a questo meraviglioso testo di Max dei Contrasto, con cui non abbiamo voluto fare una semplice intervista con domande e risposte perchè avrebbero spezzato il ritmo, semplicemente perfetto e avrebbero potuto limitare invece il contenuto, emozionante e che siamo certi vi coinvolgerà da subito.
La nozione liberatoria è una concezione, un modo di guardare alla galera. Guardarla individuando i punti deboli dell’organizzazione carceraria e i punti forti dell’ingegno collettivo dei reclusi. Guardarla in funzione dell’evasione. La libertà che si conquista mettendo insieme un saper fare collettivo. Tante mani che lavorano insieme.
Beppe Battaglia “Le tre libertà”
E se facessimo un cd, magari con un bel libretto alla Sin Dios? Una raccolta di pezzi dai vostri ultimi 3 dischi. Col suo bollino, magari ben curato. Profilo basso. Plastichina. Che dici? Un cd “originale”, come lo chiamano loro. Ce la facciamo a mandar dentro la musica e quel che si porta appresso? Senza più fisime, regolamenti insensati. Censure “a simpatia”. Che dici? Ce la facciamo finalmente? Mi ha scritto N. stava in AS1 a M. e chiede un vostro cd. Puoi mandarglielo? Questo l’indirizzo. Un po’ di fomento, per passarsela meglio. Sì certo, i vinili è impossibile. Ma fargli avere qualcosa, in qualche modo? Da anni non riusciamo, salvo forse in qualche rarissima eccezione, a far entrare materiale di Contrasto o Labile Istante di Vuoto nelle carceri del bel paese. E ogni richiesta diventa un esercizio di tensione e vana attesa, tentativi dall’esito scontato. Registrando quasi solo su vinile, o comunque autoproducendo alla vecchia faidaté, il materiale inviato (cd masterizzati) che a volte si è pure perso chissà dove (e in chissà quale controllo) molto spesso viene respinto come “materiale non originale”, non pertinente al contesto. Nemmeno il tempo di un visto per censura. Per dire. Però ‘sto giro proviamo a farlo bene. Come deve essere al confine tra il dentro e il fuori. Che l’intenzione è già parte della causa e del risultato che si vuole ottenere.
La “scusa tecnica” da cui prende forma l’idea di Visto per censura sta essenzialmente qua. Dai tempi in cui ci si era organizzati in Romagna con la Biblioteca dell’Evasione e con GiùMura GiùBox (presidi ed interventi musico/verbali sotto le mura del carcere di Forlì) abbiamo cercato di mantenere una solidarietà attiva con compagn*, e più in generale persone, detenuti nelle carceri italiane. La libertà sottratta in contesti di reclusione, tanto più se di lunga/lunghissima detenzione pensando ad ergastolo e 41bis ad esempio o in ostatività, genera un appiattimento spazio-temporale inimmaginabile per chi vi si trova costretto. O per lo meno è quanto palesato spesso in forma di vissuto comune e convergente leggendo lettere o “memorie” carcerarie come quelle scritte/raccolte da taluni ergastolani nel progetto L’evasione possibile. Parlare della questione carcere (e di quanto va ben oltre quelle mura di un abominio perpetrato dai tempi dei tempi) attraverso la dignità di chi li sta subendo giorno dopo giorno è presupposto fondante. Oltre che un’urgenza di prospettiva. “Portare” la musica dentro un carcere significa quindi poter mettere in risonanza/riverberare soprattutto l’immaginario di chi si trova costretto/rinchiuso in un luogo di implosione e di torsione psico-fisica. Vale per una lettera, vale per una fotografia. Il rimando empatico che spinge la pelle e tutto il resto a riagganciare un ricordo, un contesto, una persona o qualsivoglia rilancio emozionale già vissuto e di cui quella frase o immagine o vertigine sonora si fa vettore è semplicemente vitale. Beppe scrive a valle del suo tentativo di evasione dal carcere di Favignana sul finire degli anni’70…sembrerà bizzarro da dire, ma da quel canneto affacciato sul mare, da quel batticuore di sfida, con il carcere già alle spalle, io non sono più rientrato, ho preso il largo e se non io lo ha preso il mio immaginario.
Decidiamo quindi sia tempo di aggirare le censure che in questi anni non ci hanno permesso di dar compimento alle richieste in tal senso soprattutto di compagn* per questioni legate al fare censore dello sgherro di turno. Materiale non conforme, materiale non originale, materiale in attesa di consegna, materiale che si è perso chissà dove, materiale non idoneo al contesto. Un cd “ben fatto” (la nostra prima volta considerando l’assoluta fedeltà al vinile), secondo i loro canoni d’ingresso, che raccolga quanti più pezzi che negli ultimi 10 anni abbiam suonato in giro e che dunque più facilmente, se ascoltati dentro quelle mura, possano riverberare l’immaginario e riportare a ricordi e sensazioni vissute anni prima. La musica, le sue frequenze e il suo portato, rincorrono l’organo sociale più importante che abbiamo, la pelle. Ma si fa vettore della parola e di ciò che contiene. Per cui, ecco. Va capito in che modo questo progetto possa ritradursi efficacemente, al di là di un testo. O almeno ci si prova. E l’idea di partenza, pagina dopo pagina, si ribalta. Raccontando un’esperienza intensa di qualche anno fa. E cento mani di un (saper) fare collettivo.

Ci si ritrova ormai da qualche anno, a metà giugno. Informalmente, per passaparola. Tra facce nuove, incuriosite, e vecchie canaglie che s’abbracciano. L’appuntamento è all’arrivo del traghetto, quello undici. Nicola, col cappello in paglia a tesa larga, anima quest’inattesa dose di vita sul piccolo molo pontino. Come un perfetto entraîneur. L’estate scorsa, di ritorno dall’isola, ho raccontato a Nullo di quest’esperienza, intensamente. Di quanto in particolar modo mi aveva colpito e di ciò che ero riuscito a trattenere in sedimento, a filtro. Gli avevo pure consegnato alcune foto e altro materiale che lo potessero aiutare ad immaginare meglio queste lunghe chiacchierate, intervallate dai silenzi dello stomaco. E più volte, in quest’inverno asintomatico, ne abbiamo riparlato, ancora. Non solo quando Mario (prima) e Nadia con Robertino (poi) l’hanno incrociato tra i rivoli e le rosole di via Arrigoni, giù a Carraie. Per farla breve. Lunedì Nullo mi chiama per dirmi che, preso da un entusiasmo vorace, ha dipinto cinque acquerelli immaginando quelle mura, quelle sbarre, quel carico di vita sottratto e annichilito dall’oblio di una sentenza ancora perpetrata. Ma ci ha dipinto il cielo, le celle vuote coi blindi semiaperti. E due berte maggiori, in volo, ormai lontane. Quasi a sparire. È la prima volta che il vecchio dipinge ad acquerelli. Sul tavolo, tra scovolini e stampe di ogni foggia, la copertina azzurra di un libro-guida di Nicola Valentino. L’ergastolo. Dall’inizio alla fine. Scritto per Sensibili alle Foglie. Poco dopo, fuori.

Approdare a Ventotene e a S. Stefano, primo ergastolo in Italia edificato dai Borboni nella seconda metà del 1700, non è stato soltanto un tentativo di recuperare aneddoti e memorie carcerarie collettive attraverso un’esperienza condivisa, ma il bisogno di rilanciare essenzialmente un percorso di evasione. La nozione liberatoria. Per anni ne abbiamo fatto una sorta di Mecca attraverso un recondito bisogno di ritrovarci e ritrovarcisi. Nel piccolo libro che accompagna il cd e la sua idea di partenza ci è parso quindi interessante raccontare non soltanto quanto il tempo avrebbe lasciato all’oblio di sé stesso, recuperando parole e memorie di chi quel carcere e quelle isole carcerarie le aveva vissute sulla propria pelle. Ma anche di quanto, senza un chiaro perché, ci aveva spinto a riapprodarci anno dopo anno, in un percorso di sensazioni e costruzione che da quelle mura riperpetuano ogni giorno l’abominio di queste troppe mura. Raccontiamo quindi di come è stato costruito e si è evoluto l’ergastolo, della sua struttura a panottico (architettura carceraria) con la macabra messa in scena di una pena ancestrale in cui dominio fisico e spirituale hanno da sempre rappresentato l’incipit redentivo e la sottomissione del recluso. Raccontiamo di quanto grazie a detenuti come Luigi Settembrini in Ricordanze della mia vita è stato possibile recuperare, della vita all’interno di quel non-luogo, della detenzione anche politica. E di aneddoti come quelli legati a diversi tentativi di evasione così come ad esempio alla rivolta che portò in subbuglio il carcere per alcuni giorni, guidata e raccontata da Sante Pollastri di cui abbiamo recuperato le gesta orali grazie ad un opuscolo edito da Indesiderabili qualche anno fa, oltre all’audio ripercorso dai compagni del centro di documentazione Il Porfido di Torino. Raccontiamo anche e soprattutto del fortuito ritrovamento di copia dei cartigli dell’enologo e anarchico Veronelli, che alla ricerca di vitigni particolari campani, si ritrovò inaspettatamente qualche anno dopo la chiusura dell’ergastolo (a metà degli anni ’60) tra le celle e il residuo di umanità di quell’isola carceraria ancora vibrante restandone letteralmente paralizzato. Ma la cui “mappa” e i cui appunti sono risultati importantissimi.
Allo sbarco, in una cala minima ed aperta al mare, si saltò letteralmente dal barcone che ci aveva prelevati in Ventotene su uno scoglio bagnato viscido, noi e le valigie. Ci accolse un contadino e la sua mula. Lungo un viottolo, quasi sempre a picco sull’onde, giungemmo all’unica costruzione. Era stata, ci disse, la casa fuori del Penitenziario che si ergeva sul culmine dello scoglio, imponente e tetro. Già allora il sinistro luogo di pena era stato spogliato di tutto, proprio tutto, sino a scardinare gli infissi, gli impianti igienici, le tubature, i cancelli, le barre, quant’altro. Era ancor più sinistro di quel che doveva già essere negli anni in cui ospitava i più sciagurati, sventurati, derelitti. Ho camminato in lunghi corridoi e le celle; ho sostato nelle gabbie di rigore, un metro e mezzo per un metro e mezzo, sottosuolo. Chi v’era rinchiuso non poteva stare eretto. Se la cammini l’isola, anche nei luoghi più incantati per l’ardire senza eguali della bellezza, appena ti estranei, senti voci non solo del vento. Ti raccontano le persecuzioni di quelle gabbie. Quando entrammo nel minimo cimitero infoibato tra le rocce una frase all’ingresso. Qui finisce la giustizia degli uomini. Qui comincia la giustizia di Dio. Minime croci di ferro arrugginito e dei cartigli ai piedi. Là, proprio là, il cartiglio di Gaetano Bresci. Trascrissi ad uno ad uno i nomi dei cartigli. Quante volte mi sono chiesto: sarebbe stato giusto confidare prima questa mia scoperta? Come sarà oggi quel luogo desolato? Fare di quel luogo la mia Mecca. Non ci sono mai tornato. Questo ritorno pesa. Come un macigno.

E proprio la possibilità fortuita che ci ha portato a recuperare in una di quelle esperienze quegli appunti scritti a mano da Veronelli nel “piccolo cimitero degli ergastolani” oltre mezzo secolo prima, ci ha permesso di riattribuire alcuni nomi alle sepolture che il tempo avrebbe senza dubbio continuato a dimenticare. Nomi tra i quali quello di Gaetano Bresci, morto agli inizi del secolo scorso tra le mura dell’ergastolo di Santo Stefano dove era stato recluso, celato ai tanti, come chi come lui attentò alla massima carica istituzionale di quel tempo, re Umberto I. Anche il bisogno di prenderci (inconsapevolmente) cura di quel piccolo cimitero ci ha portato anno dopo anno a ritornare quasi spontaneamente ed in numero via via maggiore su quelle isole. Dove la conoscenza reciproca, lo stare insieme, il condividere esperienze, ricordi e stralci di vita ha poi permesso di rilanciare iniziative e soprattutto mantenere attiva una sensibilità critica, cosciente e concreta sulla questione carcere oggi.
Fuori dal carcere, quando la strada che era detta Via dei Sospiri si divide verso destra, c’era il campo da calcio, sotto la lavanderia. E poi quando l’isola si apre verso Ventotene c’è il piccolo cimitero di Santo Stefano. Ci sono ancora 47 detenuti sepolti, Gaetano Bresci compreso. Ci sta un senso di solitudine mai sentito prima d’ora. Corpi di cui la storia ha deciso di non aver memoria. Chissà in quanti hanno vissuto il proprio funerale prima che il loro corpo vi fosse
seppellito, da altre mani prigioniere. Detenuti che tagliano la legna, detenuti che chiodo su chiodo costruiscono una bara. Detenuti che preparano quel corpo da chiudere nel legno. Uomini prigionieri che accompagnano sotto quel sole e su quella terra nera il proprio compagno sulla collina. Dove il grande mare avvolge tutto. Ci sono alcune immagini di quei funerali che Salvatore custodisce con somma cura in un album di foto ingiallito.
Scrive Valentina (Baruda).

Oltre allo scopo “tecnico” e alla possibilità effettiva di far entrare in carcere, a richiesta ed in modo totalmente gratuito, la nostra musica a chi ce lo chiedesse (e si spera siano poche le richieste) l’obiettivo portante del progetto, al di là di una bellissima scusa come tante altre ci siamo date e che da 25 anni ci coinvolge in quel percorso detto Contrasto HC, sta poi nel rilancio sostanziale che attraverso le occasioni che verranno e che saranno possibili (in qualsiasi modo e maniera) ci permetteranno di ritrovarci nuovamente per condividere esperienze e/o iniziative non soltanto sulla questione carcere. Sperando che anche Visto per censura sia un volano per allargare il fronte, le conoscenze e le forze, un po’ come ad esempio lo fu per me mettere piede su quelle isole la prima volta senza conoscere nessuno e ritrovarmi dopo qualche giorno con un taccuino pieno di appunti, contatti e sensazioni che già la pancia/pelle, in barba alla cabeza, stavano intensamente riverberando. Nel piccolo libro abbiamo anche messo una serie di fotografie che accompagnano, per quanto possibile, la parola e il suo senso evocativo. Mai sufficiente, ma di certo un buon completamento se si pensa che buona parte di quel che si legge o scrive sul carcere ha radice nel vissuto di chi se l’è portato addosso. Dentro o fuori da quelle mura.
Un altro aspetto interessante e mai scontato sta, come sempre, nella modalità con cui lo abbiamo condiviso. In quell’incentivare l’autoproduzione come mezzo di libera espressione e strumento di comunicazione non condizionata che sin dal primo giorno come Contrasto ci portiamo dentro/dietro. Senza gli amici con cui l’abbiamo pensato e sedimentato sin dall’inizio (penso all’enorme contributo/impulso così come al confronto essenziale e continuo con Max di Reggio e di Zanna Lungi da me/NoWhiteRag ad esempio) e alla fiducia a scatola chiusa di tanti altr* che ci hanno aiutato (anche a superare l’inevitabile obolo di stampa) condividendone il senso e la voglia di far sì che tutto questo potesse poi prendere il largo, come voi di Radio Punk ma pure Rebound Action rec., il Porfido di Torino, Il Tribolo di Bologna, Forever True rec., Rovina HC, Black Fire rec., Rumagna Sgroza, Equal Rights Forlì, Nuclear Chaos, Distruggi la Bassa…ecco, tutto sarebbe rimasto banalmente (forse) soltanto una buona idea.
Scriviamo in tal senso. Anche questo progetto attinge da radici lontane, sempreverdi. E da volontà che si ritraducono, giorno dopo giorno, in bisogni concreti ed urgenze di prospettiva condivisi a più mani. La passione riscalda, intensamente. E si rafforza come fuoco che va preservandosi nella stagione più fredda e si alimenta crepitante, ceppo dopo ceppo. Così, nei passi tumultuosi dell’approdo in rivolta, vanno a riannodarsi esperienze, voci, sguardi, catene. Racconti a bassa voce. Memorie e proiezioni di un (saper) fare collettivo. Per poi prendere il largo. Questo in sintesi (per noi) è Visto per censura. Sarà tremendamente interessante, in caso potrà suscitare un poco di curiosità, confrontarsi/raccogliere ciò che per qualsiasi altra persona potrà anche diversamente richiamare. E non certo come oggetto materiale (che sinceramente resta ben poca cosa rispetto a testi/analisi/racconti/esperienza di gran lunga più importanti e interessanti) ma piuttosto in quel piccolo essenziale rilancio dell’immaginario che, trovato un varco, possa continuare in un certo qual modo a farne perno. Per poi prendere il largo.

Leggevo in questi giorni una buonissima raccolta di ricordi e memorie collettive legate al percorso dei NAP che più di ogni altro gruppo negli anni’70 incentrò il proprio slancio rivoluzionario sulla questione legata alle carceri/manicomi/istituti di pena attraverso una progressiva e consapevole liberazione di chi vi si trovava a viverle da reietto extralegale e sottoproletario inaffidabile (come spesso invece inteso da altri gruppi/compagn* rivoluzionari dell’epoca). Dal carcere di Procida, nella seconda metà degli anni ’70 e pochi giorni dopo la morte di Giancarlo Del Padrone durante le rivolte alle Murate di Firenze, Lo Muscio scriveva in una lettera.
Succedono troppe cose ripugnanti: detenuti che accoltellano altri che sono ubriachi dalla mattina alla sera, altri che si drogano, altri che si tagliano le vene; davanti a tutte queste cose non si può rimanere impassibili ma purtroppo sento anche di essere impotente a reagire da solo e così non posso fare altro che assorbire. In questo modo non faccio altro che buttarmi giù di morale e accrescere l’odio verso i colpevoli di questi avvenimenti. Pensa, fuori, per uno che non sia del giro è molto difficile procurarsi fiale di morfina, qui invece basta che hai i soldi per poterla pagare. Vedo giovani che in mancanza di meglio si iniettano nelle vene medicinali come il Cardiazol e altre medicine per la cura del raffreddore, a volte addirittura del vino o del caffè, roba da pazzi, pensa in che condizioni sono ridotti questi poveri ragazzi. La condanna dicono serve per la rieducazione del condannato; se per rieducazione vogliono dire distruggere hanno ragione ma, dato che non è questo, di ragione non ne hanno per niente. Mi sono stancato di ripetere a me stesso e ad altri che “un giorno pagheranno” vorrei fosse domani, ora, quel giorno.
Lui che come militante si era formato proprio all’interno delle carceri.
Grazie a voi per questo spazio condiviso, e non soltanto. Un caro abbraccio. Per chi fosse interessat* ad averne una o più copie, a qualsiasi confronto in merito e/o ad organizzare iniziative utilizzando come spunto/scusa la presentazione di questo libruncolo (parole e musica) può scriverci a max.dallara@libero.it o contattare direttamente gli amici con cui l’abbiamo condiviso.
Due parole per comprendere meglio il progetto Visto per censura (la voce avvicina):
REMINDER:
Contrasto Visto Per Censura è disponibile da noi, ma anche nelle distro citate nell’articolo. Supporta il DIY. Ringraziamo Max per le bellissime parole e ringraziamo chi ci ha coinvolto in questo che è uno dei progetti più sentiti e carichi degli ultimi anni.
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