Crass – Acts Of Love
Marco Pandin ci porta a conoscere i Crass e il loro album “Acts Of Love”
Atti d’amore
“…Credo che una raccolta come questa sia finalmente in grado di affossare il mito stupido secondo cui il punk non fosse altro che una sciocca e atipica nota stonata sparata in faccia alla musica leggera. Questi pezzi sono la rappresentazione di un periodo storico durante il quale l’industria musicale è stata costretta a mollare la presa, un periodo in cui la gente si è riappropriata di ciò che realmente le apparteneva celebrando la propria vittoria per mezzo di musica e suoni. Le multinazionali discografiche hanno imparato velocemente la lezione, e sono riuscite presto a riprendere il controllo: date solo un’occhiata a cosa c’è oggi nelle classifiche di “musica alternativa” e capirete quanto indietro siamo tornati. Passerà chissà quanto tempo prima che si riesca a localizzare un altro loro punto debole, chissà quanto tempo dovrà passare prima che si riescano a fare registrazioni della stessa natura di queste che abbiamo raccolto in questo disco. E mentre vi divertite ad ascoltarle, ricordate bene che niente di queste musiche è stato fatto per soldi: questa è musica popolare, musica che appartiene alla gente…”. (Penny Rimbaud – dalla presentazione delle raccolte antologiche “A/Sides”, aprile 1992)
Strano il destino di questi hippie anarcopunk: a oltre quarant’anni dallo scioglimento i Crass non sono affatto diventati ferrovecchio rugginoso né polvere museale come certi altri loro “colleghi” di allora. Anzi, penso che possano ancora incuriosire e dare ispirazione a più di un giovane d’oggi – o almeno così spero.
Sono uno che ha letto molto più spesso Fabrizio de André e Alessio Lega che non Errico Malatesta. So bene che per certi miei compagni sto bestemmiando, ma confesso che sono arrivato a quella mia visione tutta storta e stravagante dell’anarchia per buona parte grazie all’ispirazione che ho potuto trarre, oltre che dal compagno Faber, dai testi delle canzoni dei Crass, delle Poison Girls, dei Flux of Pink Indians, di Franti, Kina e qualche altro, nonché dalla frequentazione loro e di altri gruppi, invece che attraverso percorsi più tradizionali come, che so, la lettura e lo studio di certi scritti di Michail Bakunin.
Ricordo che quando alle riunioni della redazione di A/Rivista Anarchica nei primi anni Ottanta ci si ritrovava a parlare dei Crass in presenza di certi vecchi anarchici, persone senz’altro meravigliose e degne di rispetto ma rimaste per così dire ottocentesche nello spirito, alcuni alzavano il sopracciglio ed altri arrivavano addirittura a prendersela. Credo che quelli come me gli sembrassero soltanto dei giovinastri ignoranti senza futuro, e invece no. Ma anche i Crass sembravano un gruppo punk del cazzo come tanti altri, e invece no. Sembrava finisse tutto nel 1984, e invece per certi versi con quell’anno è cominciato tutto.
Di come ci ho sbattuto la faccia contro ve l’avevo già raccontato qui a marzo 2022. Stavolta vorrei soffermarmi sul loro penultimo disco, uscito nel gennaio 1985: in copertina non c’è traccia del loro nome, solo il titolo “Acts of love” – atti d’amore. Il gruppo s’era sciolto sei mesi prima. Del loro ultimo disco “Ten songs on a summer’s day” magari ne parleremo un’altra volta.
Sei tu che ti costruisci il mondo intorno.
Il silenzio ti appartiene.
Tutte le tue rughe e ogni espressione della tua faccia e dei tuoi occhi
raccontano una storia.
E quella storia sei tu.
Non ci sono cosmetici buoni per nascondere le nostre frustrazioni.
Se hai l’intenzione di costruire sopra alle mie lacrime l’utopia che sogni
sappilo
i tuoi pregiudizi meschini ti spingeranno di nuovo nella cattiveria.
Al di là della nostra alienazione
e delle sue manifestazioni irritanti fatte di violenza ed avidità
c’è un equilibro, un’armonia.
Ma il mondo, non è già di per sé in pace?
Io propongo la solidarietà, dichiaro il mio amore e la mia comprensione.
Tu
trasformerai tutto questo in merce,
in un vantaggio, in un qualcosa da possedere?
Sei tu che ti costruisci il mondo intorno.
Solo tu puoi rispondere.
In occasione di quel mio primo post su Radio Punk vi avevo raccontato di quando, estate del 1979, un amico ritornato da un breve viaggio a Londra mi aveva regalato “Stations of the Crass”. Era un disco uscito da poco e lui l’aveva preso attratto dal prezzo imposto incredibilmente basso e incuriosito dalla copertina, ma una volta a casa lo aveva ascoltato e non gli era piaciuto affatto. E invece a me quel disco ha acceso un gran casino dentro in testa e nel cuore. E la mia non era per niente una questione di innamoramento musicale: rispetto ad altri gruppi i Crass suonavano proprio male e non mi veniva granché voglia di ascoltare “Stations” rispetto a certi altri dischi di quel periodo – tipo “Y” del Pop Group, “Fear of music” dei Talking Heads o i Cure di “Three imaginary boys”.
A me dei Crass e di “Stations” avevano colpito molto profondamente due cose. La prima era il suono, così sporco e povero e traballante e approssimativo, circondato da un riverbero che lo faceva assomigliare tantissimo a quello della cantina dove allora suonavo col mio gruppo. Ero convinto che i miei compagni ed io avessimo sviluppato una creatività particolare e uno stile tutto nostro, ma che le nostre capacità fossero scarse e fossimo assolutamente inadatti alla scena e alle correnti nuove – eppure c’era gente come i Crass che la propria inadeguatezza tecnica aveva osato documentarla, l’aveva resa pubblica e ne aveva fatto motivo d’orgoglio. Era evidente che ritenevano la confezione meno importante del valore intrinseco che attribuivano a ciascun pezzo: questo ragionamento mi aveva steso. In mezz’ora erano crollati tutti i miei ragionamenti sulla disciplina, sul valore della pratica dello strumento e dell’esercizio. Tutte le mie convinzioni sulla musica, sul come farla e perché farla erano ridotte in frantumi.
Ed ecco l’altra: mi avevano proprio affascinato i testi delle canzoni, mi avevano come dire illuminato. Li trovavo suggestionanti e strabilianti: uno scrollone, una scarica di adrenalina, uno scatolone di petardi, una sfilza di schiaffi in faccia e di sonori calci nel culo.
Per me quei testi erano né più né meno che un manuale di istruzioni per imparare a vivere davvero invece che accontentarsi di sopravvivere: muoviti Marco, hai quasi 22 anni, col cazzo che non c’è futuro e che non ci sono sogni, se vuoi davvero cambiare la tua vita devi muovere il culo e darti da fare. Non aspettarti che qualcun altro lo faccia per te. Ecco qual è stato il mio primo impatto con l’anarcopunk.
L’anarcopacifismo dei Crass e le loro pratiche di autogestione e di azione diretta (cose che avevo appreso dai testi delle canzoni e da alcuni ciclostilati: assieme al disco il mio amico mi aveva regalato una manciata di volantini stampati da loro che aveva raccolto alla libreria Housmans a King’s Cross – un luogo mitico del quale noi giovani lettori agitati della periferia nordestina dell’impero si favoleggiava) mi avevano molto preso, così dopo un po’ mi sono deciso e gli ho scritto una lettera. Non una cosa tipica da fan ma gli ho raccontato chi ero, di casa mia, dei miei compagni, della radio libera con cui collaboravo, del gruppo in cui suonavo, delle mie sfighe, dei miei casini, delle mie aspirazioni, delle mie difficoltà. Loro, con mia grande sorpresa, dopo qualche settimana hanno risposto: era una lettera vera, scritta a mano e non una circolare. Nella busta c’erano un paio di volantini, un badge e un invito a mantenere i contatti.
Dopo altri scambi di lettere nell’estate del 1982 sono riuscito ad andare in treno a Londra e una volta lì a fare un salto a Rough Trade, allora meta obbligatoria per tutti gli appassionati di musica indipendente. In negozio incontro Scott Piering, che era il responsabile dell’ufficio stampa dell’etichetta: gli lascio un po’ di copie della nostra fanzine veneziana e lui mi dedica tempo ed attenzione. Dice che la fanzine gli piace anche se non la sa leggere, e si sorprende che dentro ci siano delle traduzioni di alcuni testi di Crass e Poison Girls. Le ho fatte io, gli dico. E lui mi fa: aspetta un attimo, prende il telefono e mi organizza un incontro con John Loder – ci siamo visti lì in negozio un paio di giorni dopo.
John è stato molto gentile e disponibile: le nostre fanzine sono piaciute anche a lui, mi ha dato qualche disco in regalo e mi ha scritto su un pezzo di carta il numero di telefono della loro casa comune ad Epping invitandomi a chiamare – cosa che da allora ho fatto più volte. L’anno successivo sono riuscito finalmente a far visita a Penny, Gee, Phil, Joy e compagni a Dial House. Nel 1984 ho assistito ad un loro concerto a Nottingham, quando gli ho chiesto se potevo collegare il mio registratore al mixer non hanno sollevato obiezioni – ne ho tratto dapprima delle cassette poi un cd che ho diffuso a sostegno di A/Rivista Anarchica.

Ecco un altro frammento da “Acts of love”:
Quelle ore sono ombre distanti
Silenziose
Il mare agitato tira il vento addosso ad una spiaggia lontana
Tra il silenzio che ci tiene lontani, soltanto un nome
Nome che si impadronisce della propria realtà
Dov’eri, allora?
Ti nascondevi tra i rami carichi di limone ed uva?
Ti fai largo tra l’edera con le tue mani pallide
Non mi scorderò mai di te
Il silenzio di quelle dita mi acceca
Le mie orecchie abbagliate da quel pallore
Vieni, vieni qui e passa oltre
Aspettami vicino alla sabbia nuda
Onde che rotolano felici nel mare
Ricordati di me
Io sono quella balena enorme che lotta per conquistare aria ed oceani.
Come per certo saprete se frequentate queste pagine e certi giri, i Crass erano un collettivo di punks inglesi attivi tra la fine degli anni Settanta e il 1984. Un paio di loro, i più vecchi, negli anni Sessanta avevano frequentato a lungo certe frange creative del movimento hippy. Anarchici e pacifisti, non hanno avuto vita facile: sin dall’inizio hanno dovuto lottare duramente per non soccombere al silenzio.
Ve la faccio breve, per quanto possibile. Il loro disco d’esordio venne pubblicato dalla minuscola indie londinese Small Wonder nell’ottobre del 1978 con un paio di minuti di silenzio al posto della prima canzone del lato A “Reality asylum”, un’invettiva femminista contro l’oppressione religiosa – i gestori dello stabilimento di stampa del vinile l’avevano ritenuta offensiva e si erano rifiutati di metterlo in lavorazione.
L’anno dopo i Crass fondarono un’etichetta discografica omonima, indipendente e autogestita, e riuscirono a ristampare il disco per intero secondo il loro progetto originale, per ritrovarsi presto i funzionari di Scotland Yard in casa allertati da alcune denunce per blasfemia. Questo era un fatto piuttosto inusuale nel loro paese e la buoncostume, più avvezza ad occuparsi di prostituzione e pubblicistica pornografica probabilmente non sapeva bene come gestire la faccenda. Il gruppo riuscì ad evitare degli strascichi giudiziari solo perché i vari membri, benché già noti all’autorità, erano ancora incensurati. La polizia li mise sull’avviso che così facendo andavano solo in cerca di rogne e gli suggerì di smettere con le provocazioni, ma i Crass decisero di fare di testa loro e di andare avanti comunque: da lì in poi i loro dischi furono sistematicamente oggetto di censura e boicottaggio. I negozi che esponevano i dischi dei Crass in vetrina ricevevano le visite discrete della polizia: dapprima invitavano i gestori a toglierli dagli scaffali e a renderli al distributore, poi si passava a perquisizioni, multe e minacce. Alcuni negozianti ribelli sono stati denunciati, uno a Manchester e uno a Norwich sono stati addirittura processati e condannati per aver venduto “materiale osceno” a minori. Vi lascio immaginare le pressioni dell’MI5 sugli organizzatori di concerti e sui gestori dei locali, e mi limiterò a citare l’accoglienza a base di sprangate a quei pochi concerti che sono riusciti a organizzare da sé – stavano sul cazzo proprio a tutti, destra e sinistra, dal National Front fino a Class War e oltre.
Tra il 1978 e il 1984 i Crass pubblicarono una dozzina di dischi, fra singoli EP ed album, e pure riuscirono a venderne diverse centinaia di migliaia di copie, ma inspiegabilmente non finirono mai in classifica. La stampa musicale inglese stroncò il loro esordio e descrisse abitualmente i loro lavori in termini dispregiativi, accusandoli di volta in volta di essere “estremisti pericolosi”, “patetici tardo-sessantottini che combattono battaglie antiquate”, “la personificazione dell’odio”, “un gruppo buono solo per farci le spillette”, “un disastro per la politica culturale giovanile”, “la peggiore spina nel fianco del movimento” (queste ultime due citazioni le ho tratte da altrettante riviste specializzate italiane).
Ci sono dozzine di persone in giro per il mondo che si sono arricchite commercializzando, senza aver chiesto né ottenuto alcuna autorizzazione né licenza, magliette spillette e altro merchandising con il loro nome e logo, e copie contraffatte dei loro dischi.
Al tempo del conflitto inglese contro l’Argentina per le isole Falklands scrissero canzoni feroci e disperate contro la guerra attirando le attenzioni del governo Tory e del primo ministro Margaret Thatcher in persona – che osarono sbeffeggiare in pubblico e misero in qualche seria difficoltà durante un dibattito radiofonico alla BBC, dove rivelarono in diretta delle informazioni riservate. L’accesso degli anarchici alla radio nazionale venne pesantemente contestato. Nel corso della trasmissione i centralini della BBC furono intasati da centinaia di telefonate di protesta: dissentire pubblicamente su un argomento come la guerra si dimostrava un fatto assolutamente inaccettabile.
In piena guerra i Crass riuscirono a stampare all’estero un flexi-disc trasparente ed anonimo con dentro “Sheepfarming in the Falklands”, un loro pezzo pacifista, e lo importarono clandestinamente in patria: con la complicità di alcuni lavoratori di Rough Trade lo diffusero inserendolo dentro alle copertine di altri dischi, ma buona parte ne venne presto intercettata dalla polizia e sequestrata. La pubblicazione di “Sheepfarming”, ritenuta da parecchi parlamentari una canzone “oscena”, comportò il concentrarsi di ancora maggiori attenzioni da parte della polizia su quelli che oramai erano soltanto dei “traditori della patria”.
Appena finita la guerra scoppiò il cosiddetto caso Thatchergate: la registrazione di un falso dialogo telefonico tra Margaret Thatcher e il presidente americano Ronald Reagan venne fatta recapitare in forma anonima alle redazioni delle più importanti testate giornalistiche di tutto il mondo. Nonostante la registrazione fosse evidentemente contraffatta, provocò una serie di incidenti diplomatici: gli Stati Uniti puntarono il dito sul KGB ed i russi sulla CIA e si fu sul punto di far scoppiare un intrigo internazionale. E invece era opera loro…
Il gruppo si sciolse nel luglio del 1984 dopo un concerto tumultuoso ad Aberdare a sostegno dei minatori gallesi in sciopero.
“…Il movimento punk non ha inventato niente: è stato piuttosto la continuazione di un movimento preesistente. Prima c’erano gli hippy, i beat, i bohemién e si potrebbe andare ancora indietro nel tempo fino agli inizi della consapevolezza umana. Il dissenso sociale non è cosa nuova, e bisogna essere in grado di adattarlo ai tempi e renderlo sempre nuovo e radicale per evitare che si rispecchi nella rigidità del sistema a cui si oppone. Ecco la ragione per cui oggi mi fa così schifo il ritorno della moda punk. Lo sappiamo tutti che il sistema fa schifo. Lo sappiamo tutti che volendo lo si riesce a bloccare per un giorno, o magari due. Lo sappiamo tutti che McDonald e la Coca Cola fanno schifo. Lo sappiamo tutti che le guerre uccidono. Quello che proprio non riusciamo a fare è riuscire a smetterla una volta per tutte e cambiare. Trent’anni fa i punk anarchici misero in pratica qualcosa di completamente nuovo, imparando in fretta che le politiche di opposizione tradizionali tendono a non ottenere granché se non il rafforzarsi dell’oppressione…” (Penny Rimbaud, dalla presentazione di “The last of the hippies”, 2008)
Nel gennaio 1985, proprio a pochi giorni dalla pubblicazione di “Acts of love”, i Crass vennero trascinati in tribunale dove un giudice li considerò “un’associazione che opera ai margini della legalità” e definì i loro dischi “grossolani e volgari, fatti per buona parte di spazzatura ingiuriosa”, nonché “roba che nessuno vorrebbe tenersi in casa”. Il loro terzo album “Penis Envy” venne giudicato da quella corte “contrario alla pubblica decenza” per via dei testi e della copertina. I giudici dichiararono alla stampa che “avevano inteso dare una condanna esemplare e dare un contributo concreto per il miglioramento dei valori umani, per il risanamento della morale pubblica nell’interesse di tutti i giovani”.
“…Ci sarebbe voluto ben più di una multa per fermarci. Le ragioni per cui ci siamo sciolti sono numerose. Prima di tutto, l’avevamo detto sin dall’inizio: dureremo fino al 1984. Abbiamo numerato a rovescio tutti i nostri dischi proprio per questo motivo. Poi, Andy voleva riprendere a studiare e iscriversi alla scuola d’arte, e non c’era motivo di continuare l’attività senza di lui. Il nostro gruppo funzionava così, non potevamo certo trovare un sostituto, nessuno sarebbe stato d’accordo. Eravamo tutti molto uniti e solidali, ecco il motivo che ci teneva assieme. Se qualcuno avesse deciso di mollare, avremmo mollato tutti. Un altro motivo per cui ci siamo sciolti, e se vogliamo è una ragione positiva, è che molti punks – specie i più giovani – si ritrovavano allora completamente immersi in una mentalità di disastro e di morte, stavano dimenticando il perché della loro rabbia, che è una cosa assolutamente sbagliata. E’ per questo che abbiamo pubblicato “Acts of love”, penso sia stato molto importante pubblicare quel disco…” (Gee Vaucher a Richie Unterberger – intervista pubblicata da Perfect Sound Forever, 1996)
L’abbiamo ben visto: il sistema si è dimostrato in grado di saper inglobare e riciclare l’opposizione, compresa quella radicale, e rendere commestibile e addirittura gustoso persino il letame punk – è bastato metterci sopra qualche zuccherino in forma di vinile ristampato con qualche bonus track grattata via da vecchi nastri di prove in cantina.
La cosa però pare non abbia funzionato granché nel caso dei Crass. Il gruppo, come dicevo all’inizio, non è più attivo in quanto tale da oltre quarant’anni, anche se una parte degli ex-membri a suo modo ha continuato una certa attività artistica ed i loro vecchi dischi hanno continuato ad essere costantemente richiesti. Grazie a One Little Independent, che ha acquisito il catalogo di Crass Records alla chiusura di Southern avvenuta dopo la morte di John Loder, si continuano a ristampare le loro vecchie cose, e c’è Steve Ignorant che ogni tanto canta in giro le solite vecchie canzoni davanti a un pubblico di vecchi punks nostalgici che condividono i battiti del cuore e i ritornelli con moltissimi giovani punks curiosi.
Dei Crass, curato da Gee Vaucher per Exitstencil Press e completamente autoprodotto, lo scorso anno è uscito un librone alto tre dita confezionato benissimo con dentro foto e materiali scritti e grafici, realizzato in maniera orizzontale raccogliendo i contributi di fan e sostenitori in giro per il mondo. Purtroppo, dopo la Brexit, con l’aggiunta di tasse doganali e spese di spedizione extra-UE sia il libro che i dischi ristampati da One Little Independent da noi vengono a costare un’esagerazione.

Ed eccomi ad “Acts of love”. All’inizio mi ero fatto più di uno scrupolo: non c’è qui dentro neanche una chitarra, una strofa urlata o un tamburo pestato forte, neanche un minimo sindacale di suoni distorti e probabilmente per tutto questo potrebbe per me essere imbarazzante giustificarne la presenza dentro a Radio Punk. Ma penso sinceramente che questo sia il posto giusto: rappresenta una strada diversa, e che va in salita, per raccontare certe radici. Penso che sia un tassello importante per aiutare a capire meglio l’avvicendarsi e lo stratificarsi di eventi e ragionamenti che hanno portato alla formazione dei Crass – motivazioni tutt’altro che musicali, economiche o modaiole – e soprattutto i loro motivi di coesione.
Alla fine della serie di concerti organizzati nella primavera e nell’estate del 1984 per sostenere il loro quinto album “Yes sir, I will”, e a ridosso dello scioglimento del gruppo, Penny Rimbaud si era buttato a capofitto in un progetto musicale radicalmente diverso da quello portato avanti con i Crass. Aveva ritrovato e raccolto cinquanta brevi poesie che aveva scritto tra il 1968 e il 1973, e immaginava di leggerle mettendogli un qualche sottofondo musicale. Invece che dal punk, l’ispirazione arrivò da un sintetizzatore Yamaha DX7, la prima tastiera a controllo interamente digitale, messa in commercio da pochissimo e che John Loder aveva subito acquistato per i Southern Studios. Penny si mise a sperimentare affiancato da Paul Ellis, tastierista delle Poison Girls, che aggiunse all’attrezzatura anche i suoi sintetizzatori polifonici analogici Prophet 5 e Prophet 8.
I due lavoravano in studio nei ritagli di tempo libero, e il progetto cominciò presto a prendere forma per completarsi dopo qualche mese. Eve Libertine prestò la sua voce a 49 testi, Steve Ignorant all’ultimo pezzo del disco.
Eccone un altro frammento:
Quando ti sei alzata, questa mattina
il tuo sguardo era duro come la roccia.
I tuoi occhi, come al solito bianchi e azzurri,
erano stranamente cerchiati di nero.
Meglio di così non va, vero?
La tua voce può solo lacerarsi gridando invano.
Devi fare un gran fracasso per poter capire il silenzio.
Hai urlato come un’ossessa tappandoti le orecchie
per non ascoltare il silenzio.
Tu puoi vederlo,
ma lui non ti può toccare.
“Acts of love” venne pubblicato a gennaio del 1985 da Crass Records. Nella confezione del vinile era compreso un libretto in grande formato – su ciascuna pagina una o due poesie di Penny ognuna accompagnata da un’illustrazione, opera di Gee Vaucher. Né poesia, né canzoni, ma atti d’amore: è cosi che sono stati chiamati i frammenti che lo compongono. Quaranta minuti senza tempo né spazio né dimensioni.
Per il disco non venne organizzata alcuna campagna pubblicitaria, solo un comunicato breve ripreso anche in un volantino che accompagnava la corrispondenza di allora: “Sono cinquanta canzoni scritte in ricordo di Wally Hope” – scriveva Penny – “Canzoni dedicate al mio altro io, un io che esiste, intatto, al di là delle convenzioni sociali che mi attribuiscono un nome, un numero, un’identità ed uno spazio finito nel tempo. Esse descrivono il mio senso profondo di unità, pace ed amore: sono la mia dichiarazione di guerra contro chi vuole profanarlo e distruggerlo. Queste poesie sono l’espressione della mia voglia di rivoluzione, la descrizione di ciò che reputo sia possibile, e proprio per questo sono la ragione della rabbia che provo“. E proseguiva con una frase importante: “E’ un tentativo di dimostrare che l’origine della nostra rabbia non è l’odio, ma l’amore“.

Wally Hope era il soprannome di Phil Russell, vecchio e caro amico di Penny e Gee e fra i frequentatori della loro casa comune, Dial House, quando era stata appena aperta. Russell era un anarco/mistico pacifista e visionario, tra gli ideatori ed organizzatori dei primi free festival inglesi la cui morte prematura, risultato della permanenza forzata in un ospedale psichiatrico e del trattamento sanitario obbligatorio cui venne sottoposto, spinse i due futuri Crass a trasformare la filosofia hippy del “pace e amore” nella rabbia grezza del punk. Di lui Penny racconta diffusamente in “The last of the hippies” (“L’ultimo degli hippie”, traduzione italiana co-ed. Candilita / Silentes / stella*nera) e nel successivo “Shibboleth”.
“…Wally aveva viaggiato in tutto il mondo e aveva incontrato gente che la pensava come lui ovunque si fosse fermato, ma aveva sempre fatto ritorno in Inghilterra. Wally era in grado di parlare in continuazione per ore. Metà delle cose che diceva sembrava pura fantasia, l’altra metà pura poesia. Al nostro primo incontro, mi raccontò del Windsor Free Festival e degli altri raduni a cui aveva partecipato. Siccome la ressa non mi piace più di tanto avevo sempre cercato di evitare quegli assembramenti, quindi la mia conoscenza in merito era piuttosto limitata. Wally me ne tracciò la storia a grandi linee per poi esporre dettagliatamente le sue idee per il futuro. Continuò poi spiegando quello che per me era un progetto ridicolo. Voleva rivendicare Stonehenge, un luogo che considerava sacro per il popolo e rubato dal governo, per farne un posto in cui organizzare raduni liberi, musica libera, idee libere. Questo almeno era il suo intento, una specie di favola insomma…” (Penny Rimbaud, da “L’ultimo degli hippie”)
Attribuita al solo Penny Rimbaud, di “Acts of love” è stata pubblicata nel 2012 una versione a cura di Exitstencil Press che comprende un cd ed un libretto con tutti i testi e le illustrazioni in formato 14×14. Nel cd, oltre alla versione restaurata e digitalizzata delle registrazioni originali, sono presenti una ventina di altri frammenti ed una poesia di Eve Libertine. One Little Independent ha pubblicato nel 2023 un vinile doppio in tiratura limitata di mille copie che raccoglie le registrazioni originali e una rilettura ad opera della pianista e ricercatrice Mikado Koko. Potete trovarne alcune tracce curiose nel canale YouTube di Penny raggiungibile qui.
Raccontano i Crass due documentari, entrambi produzioni indipendenti di ottima fattura.
Il primo “There is no authority but yourself” è opera dell’olandese Alexander Oey (è uscito nel 2006 – una versione in bassa risoluzione è visibile su YouTube), l’altro è “The sound of free speech” del regista inglese Brandon Spivey ed è uscito nel 2023 (disponibile in streaming sulla piattaforma Streeen, raggiungibile qui).
A distanza di quasi vent’anni i due registi si sono recati a Dial House a chiedere quasi le stesse cose agli stessi due-tre ex-membri che hanno acconsentito a rispondere – ed osservo come il silenzio degli altri sia altrettanto significativo. Da entrambi i filmati appare evidente che il gruppo in quanto tale è scomparso: alle domande risponde Penny, risponde Gee, talvolta risponde Steve – non rispondono i Crass.
Quelli che sono stati tra i principali ispiratori del punk si sono dimostrati del tutto inservibili per farne una qualche festa di compleanno, e infatti sono rimasti tagliati fuori dal circo delle celebrazioni mediatiche del ventennale, del trentennale e del quarantennale. Resteranno fuori anche da quelle del cinquantennale, che l’industria discografica sta già organizzando in grande stile: chissà cosa ci aspetterà nel 2027, di certo non la reunion dei Crass… Vuoi vedere che con l’aiuto dell’AI e coi soldi dell’industria discografica qualcuno riuscirà a far risorgere e magari esibire in un duetto virtuale Sid Vicious e Joe Strummer?
Marco Pandin
stella_nera@tin.it





