CRISTIANO REA: IL PANK ROMANO PER ECCELLENZA
Un ricordo punk di Cristiano Rea: figura di culto della scena underground romana
Il 12 marzo 2023 ci ha lasciati Cristiano Rea, figura di culto della scena underground romana – soprattutto punk – della quale è stato portavoce sin dai primi anni ’80. Romano, classe ’62, il suo nome è rimasto poco conosciuto al grande pubblico ma di importanza fondamentale per la cultura antagonista romana. Da sempre appassionato di musica, fumetti e illustrazione, a circa vent’anni partecipa alla creazione della fanzine a fumetti – Bidè – e da inizio anni ’80 inizia una collaborazione pluriennale con lo storico Uonna Club di via Cassia 871, punto di riferimento centrale per la scena punk/ska/new wave romana del periodo, come descritto nel suo blog Millenovecento77:
“Quel locale cominciò ad essere frequentato da una moltitudine di persone. In quel periodo, le bande di punks e di skins che provenivano da zone diverse della città, si incontravano e si scontravano all’interno e all’esterno del locale. Ma diverbio dopo diverbio, rissa dopo rissa, bevuta dopo bevuta, le bande cominciarono ad intessere dei rapporti fra di loro. Quella discoteca fu importantissima per la nascente scena romana, perché fu lì che si iniziò a coagulare tutto il popolo ribelle di Roma. Quell’arena posta sotto il livello stradale, fu la pietra miliare di un percorso da cui si sviluppò tutto il resto.”
(di Valerio Lazzaretti)




Cristiano Rea iniziò disegnando poster di serate, tessere e locandine, sviluppando uno stile grafico sempre più riconoscibile, secco, immediato, tagliente e quasi sempre fedele al bianco e nero. In quello stesso periodo inizia a tessere i rapporti con vari centri sociali capitolini, partecipando all’occupazione del CSOA Forte Prenestino del 1^ maggio 1986 e disegnando volantini, poster e manifesti per altri spazi sociali come il Breakout, Torre Maura, Hai Visto Quinto e così via. Collabora sempre di più anche con fanzine, riviste musicali ed etichette discografiche indipendenti, immergendosi completamente nella controcultura romana e a sua volta definendone grafica, immaginario e iconografia. Molto vicino alla causa curda, ha sempre fatto un grosso lavoro di sensibilizzazione in merito e la sua matita ha curato la grafica di Rete Kurdistan Italia sin dal 2009.
Rea ha raccontato la sua epoca, l’ha vissuta, l’ha disegnata, restando sempre coerente con sé stesso e legato alla militanza fatta dal basso e agli spazi sociali. Il 26 gennaio 2023 è uscito Pank! 1977-2022, volume che raccoglie quasi cinquant’anni della sua attività, con tanto di introduzione di Zerocalcare, immagini, testimonianze ed intervista esclusiva di Federico Guglielmi, giornalista, critico musicale e curatore del volume con cui abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere e ricordare l’artista.
- Il percorso artistico di Rea è variegato e multiforme in quanto vede un intreccio tra musica e disegno, illustrazione e suono. Da dove è partito e quando è iniziato il tutto? Pensi fosse possibile scindere queste sue passioni o sono sempre andate di pari passo?
È partito quando Cristiano era un ragazzino ed è continuato fino al giorno in cui, purtroppo, ci ha prematuramente lasciati. Nella sua opera tutte queste passioni erano quasi sempre intrecciate, anche se la sua arte si è via via orientata in modi anche molto diversi tra loro. Quindi, si potevano scindere e a volte è anche accaduto, ma esaminando la sua produzione si coglie l’interconnessione tra questi mondi paralleli.
- Qual è stato il tuo primo incontro con Rea? Come lo descriveresti?
Non ricordo la circostanza precisa, ma direi che è stato al Uonna Club, lo storico locale di Via Cassia per il quale creava le locandine dei concerti, nei primissimi anni ’80. Nei decenni seguenti ci siamo incrociati moltissime volte, dato che frequentavamo circuiti limitrofi e avevamo molti amici in comune. Era una persona fondamentalmente timida, gentile, con un gran cuore. Gli piaceva quello che faceva ed era felice di rendersi disponibile per le cose che apprezzava.
- La Roma di inizio anni ‘80 iniziava a veder nascere e diffondersi le controculture musicali, e un punto di ritrovo fondamentale per la scena punk, ska, new wave e hardcore fu proprio questo Uonna Club di via Cassia. Come ci stavi accennando, Rea collaborò con loro realizzando locandine, inviti e tessere per buona parte degli anni ‘80: cosa significò il contributo di Rea per questo posto iconico? E d’altro canto, questa esperienza come influenzò il suo lavoro successivo? Hai ricordi di questo periodo?
Le locandine del Uonna, e non solo del Uonna, venivano affisse in tutti i luoghi frequentati dalle persone che potevano essere interessate ai concerti del locale e, certo, contribuirono moltissimo a caratterizzarlo. Erano perfette per il Uonna e la sua fauna, molto diversificata ma sempre pittoresca. Per lui fu una gran bella palestra e una grande occasione per farsi conoscere. La firma C. Rea, che si legge “crea” e quindi “nomen omen”, divenne molto famosa.




- Da un punto di vista stilistico, che influenze pensa abbia avuto Cristiano nell’elaborazione del suo stile? Anche il prevalente utilizzo del bianco e nero, era una scelta stilistica dell’illustratore o una scelta dettata da maggiore praticità?
Quarant’anni fa si viveva in un altro mondo, sotto questo e molti altri profili. Si lavorava con le fotocopie in bianco e nero, non c’erano investimenti “seri” per queste cose underground. Era una scelta obbligata che, ovviamente, divenne scelta stilistica. Però Cristiano amava moltissimo il b/n e ha continuato in massima parte a utilizzarlo, anche quando il progresso tecnologico ha favorito la maggior diffusione del colore. Il suo mondo espressivo era senza alcun dubbio più in b/n che colorato, come si capisce anche dalle sue ultime creazioni.
- Passiamo ora all’impegno politico e sociale di Rea, ricorrente nella sua produzione. Nel 1987 realizza l’iconico poster per il primo anno di occupazione del Forte Prenestino, a cui seguiranno svariati flyer, volantini, poster e locandine per altri centri sociali come il Corto Circuito, Torre Maura, Villaggio Globale, Break Out, ecc. Dal 2009, inoltre, cura la grafica di Rete Kurdistan Italia e per l’Unione delle comunità kurde in Europa. Quanto peso aveva, secondo te, la dimensione politica e sociale nel lavoro di Rea? Era parte integrante del suo lavoro?
Aveva un gran peso, perché lui si impegnava solo per le cause in cui credeva: non avrebbe mai lavorato per gente con la quale non si sentiva in sintonia, non ce l’avrebbe fatta… era un puro di cuore.
- Pank!: Com’è stato lavorare con Cristiano al suo ultimo lavoro?
È stato bellissimo per certi versi e tristissimo per altri. Ricordo bene il suo stupore alla mia domanda se avesse voluto fare un libro in cui raccontarsi, e il suo scetticismo per l’interesse che avrebbe potuto suscitare, ma ricordo anche la sua gioia quando si trovava il modo di incastrare i contenuti nel modo giusto. A lavorazione quasi ultimata, mancavano un po’ di dettagli, stava parecchio male, e in un momento di grande sconforto mi disse che temeva che non sarebbe vissuto abbastanza da poter vedere il libro stampato. Per fortuna il destino bastardo gli ha lasciato almeno la soddisfazione di avere in mano il volume e di fare quella splendida, trionfale presentazione al Forte Prenestino, con centinaia di persone venute a rendere omaggio all’artista ma soprattutto all’uomo. Dei tanti libri che ho scritto e curato, nessuno è stato emotivamente intenso come questo… e il dolore immenso provato per la perdita non è riuscito a soffocare le tante cose positive che questo lavoro mi ha dato.
- In generale, quale pensi sia il contributo più grande lasciato da Rea?
È stato un elemento-chiave per l’aggregazione di molte sottoculture romane, mi pare una gran cosa. E senza di lui forse non avremmo avuto Zerocalcare, come lo stesso Michele ha scritto nell’appassionata prefazione scritta per Pank!.
Articolo a cura di Maria Sartori
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