Dead Kennedys – Fresh fruit for rotting vegetables: “Verdura marcia spacciata per frutta fresca.”
42 anni fa usciva Fresh fruit for rotting vegetables dei Dead Kennedys. Ce ne parla dal suo punto di vista Marco Pandin
Metà anni Settanta. Avevo diciott’anni quando ho avuto la fortuna di incontrare gli inglesi Henry Cow: per un concerto in zona organizzato da Radio Mestre arrivarono in un paio di vecchi furgoni poveramente adattati a camper, e presto si dimostrarono persone affascinanti. Avevano qualche anno più di me e già pubblicato tre dischi con la Virgin (allora un’etichetta indipendente fondata da hippies ricchi e in piena espansione e fortuna commerciale), frequentavano musicisti del calibro di Robert Wyatt, Mike Oldfield e Steve Hillage ma non se la tiravano affatto come sarebbe stato forse lecito aspettarsi. Ricordo che era bello starci assieme, scherzare, raccontarci: ci si parlava liberamente, in quel tipico nostro misto bastardo di inglese scolastico, italiano e dialetto veneto. A dirla tutta, non mi sembravano musicisti normali, nel senso che si arrangiavano a montarsi l’attrezzatura e persino a farsi da mangiare. La sera, più che ad un concerto sembrava di stare ad una festa, a una specie di circo misterioso e felice allestito in un salotto – niente luci psichedeliche, solo un paio di abatjour. Noi tutti seduti intorno. Quel pugno di giovani girovaghi, ragazzi e ragazze assieme, offriva suoni e vibrazioni che poco o nulla avevano a che spartire con la musica ascoltata prima, ma soprattutto col loro atteggiamento semplice, aperto e sorridente erano riusciti a compiere un miracolo: i ruoli di “musicista” e “spettatore”, le etichette “rock” e “jazz” erano improvvisamente divenute espressioni del tutto prive di senso. Mi piaceva il loro impegno nel trovare strade nuove. Mi piaceva questo poter cambiare le regole del gioco, questa possibilità di esprimersi senza tener conto di gabbie mentali e definizioni. In seguito il punk ha spostato di un ulteriore passo in avanti questa filosofia, allargando per me l’area di rimbombo dal palco alla vita intera.
Tanta della nostra musica faceva davvero schifo, ma ci si divertiva comunque: la musica serviva da collante sociale, ci teneva vicini, ci teneva insieme. Cresciuti in un mosaico di paesetti di campagna trasformati velocemente in quartieri a rischio dal cemento e dall’asfalto, io ed i miei amici e compagni eravamo di famiglia operaia, abituati a girare con le tasche vuote ed arrangiarci. Per me sarebbe stato tecnicamente impossibile scappare: mia mamma passava lunghi periodi in ospedale e mio papà si ammazzava di turni di lavoro in fabbrica. Volevo bene a quei due, ed ero convinto non ce l’avrebbero fatta senza di me: malgrado le cattive compagnie anarchiche, la musica di merda e i libri sbagliati sotto sotto ero un bravo ragazzo. Un giorno ho piantato un casino enorme: ero stato assegnato al servizio militare in marina, così mi sono presentato alla visita di leva ma mi sono rifiutato di sottopormi ai prelievi del sangue presentando una dichiarazione di obiezione di coscienza. Allora non era una decisione facile: il servizio civile alternativo sarebbe stato introdotto solo qualche tempo dopo e i renitenti di solito finivano dietro le sbarre. Per caso e per fortuna in galera non ci sono finito, ma questa decisione comunque mi ha fatto perdere il lavoro e creato parecchie difficoltà a trovarne altri, a meno che non fossero temporanei, sottopagati e/o in nero. Una situazione scomoda e frustrante che si è trascinata per un paio d’anni, fino a quando nel 1980 non mi è stato offerto un posto fisso come progettista informatico, un lavoro che fra alti e bassi e ristrutturazioni aziendali ho mantenuto per i successivi quarant’anni.
Lavorare è stato importante, mi ha permesso di emanciparmi e di essere parte attiva nell’economia di casa. Nei primi anni è stato persino divertente e istruttivo. Nell’estate del 1981 ho fatto il mio primo viaggio in treno a Londra e al ritorno dopo un mese, lo zaino carico di roba da leggere guardare e ascoltare, ho coinvolto una parte del mio giro di amici e compagni di radio nella realizzazione di una fanzine. Ovviamente non sapevamo cosa fare e come fare, ma l’abbiamo fatta lo stesso: la fanzine l’abbiamo chiamata Rockgarage e per qualche anno lì dentro abbiamo riversato sogni, frustrazioni e deliri provinciali, tutto molto disordinatamente. E’ stata quella la nostra piccola rivoluzione: abbiamo imparato a stare insieme, ragazze e ragazzi, senza capi e senza etichette né ruoli. Abbiamo fatto tutto da soli. Dal rumore che usciva dai giornali, dai palchi, dai raduni e dalle manifestazioni sembrava che la rivoluzione fosse appena dietro l’angolo, dalla strada con la protesta mi arrivava dentro in testa tanta agitazione ma proprio non riuscivo a leggerci dentro delle possibilità di un qualche cambiamento reale. Certo, andavamo in branco ai concerti, ci si divertiva, si condividevano birre panini mele spiccioli e canne e soprattutto si poteva scegliere quale rock ascoltare tra punk, sperimentazione, new wave, dark, reggae e cento altri sottogeneri e contaminazioni. Ma dopo ogni concerto si tornava a sprofondare nella stessa merda nera di sempre. Niente cambiava mai.
Una delle cose che a Rockgarage ci piaceva fare era capire che cosa dicessero i nostri coetanei all’estero dentro le canzoni. Tanti dei miei amici amavano i Clash, altri preferivano cose più legate al passato come Neil Young e John Martyn, ma le nostre diverse preferenze musicali non sono mai state motivo di divisione. A me e ad alcuni dei miei compagni piacevano certi gruppi anarcopunk inglesi e passavamo delle mezze giornate cercando di decifrare le copertine dei loro dischi trasportandone i contenuti in una forma commestibile a tutti. Ci piacevano parecchio anche altri gruppi americani sferraglianti: Ermanno e Gino degli Wops avevano preso “GI” dei Germs, “Condition red” dei Red Rockers e i primi album degli MDC e dei Toxic Reasons, dischi che abbiamo presto registrato su cassetta e imparato a memoria. Un altro dei gruppi che aveva attirato parecchia della nostra attenzione erano i Dead Kennedys: attivi tra la fine degli anni Settanta ed i primi Ottanta, si distinguevano nettamente dal resto del magma hardcore a stelle e strisce per quella che noi qui allora si interpretava come una marcatissima consapevolezza politica e sociale. A ripensarci adesso potremmo invocare come attenuanti la nostra giovane età e la facilità con cui allora in provincia ci si faceva prendere dall’agitazione. Resta comunque il fatto che i Dead Kennedys hanno mietuto larghi consensi tra i punks italiani, e in generale in Europa, per la loro ironia infuocata contro tutto e tutti che sconfinava spesso e volentieri nel cinismo più spietato. Ricordo un concerto tellurico a Gorizia a ottobre 1981, con i Warfare in apertura, evento che trovo abbia contribuito parecchio all’aggiustamento della mira dei punks locali, già peraltro ben disposti a dedicarsi a quella che al tempo si usava chiamare attività sovversiva. Non c’era gruppo friulano o giuliano che non fosse coinvolto in volantinaggi, controinformazione e partecipazione attiva a raduni e manifestazioni, e dopo quel concerto la scena dell’intero nordest si è ritrovata senz’altro più effervescente e motivata.
Non so se i Dead Kennedys, letti grossolanamente qui in Italia come degli alieni americani anti-americani, fossero anarchici o se fossero spinti da un qualche proposito politico: su questo negli anni sono rimasto sempre piuttosto scettico, ma so bene però che al pari dei Crass sembravano muoversi secondo una qualche strategia. Ogni loro canzone era l’equivalente di un assalto all’establishment e i loro testi erano assolutamente espliciti, diretti e incisivi: le canzoni adoperate come pugni, come bastoni, come bottiglie incendiarie con l’intenzione di provocare danni e fare male. La cosa funzionava benone a casa loro, e il gruppo veniva infatti tenuto sott’occhio dall’autorità, e funzionava alla grande anche all’estero, specie se in combinazione esplosiva con l’entusiasmo europeo. “In un certo senso siamo terroristi culturali, usiamo la musica invece delle armi” – questo lo ha dichiarato il cantante del gruppo Jello Biafra. Gli altri erano il chitarrista East Bay Ray (affiancato per un po’ da un altro chitarrista, 6025), il bassista Klaus Flouride ed il batterista Ted, presto rimpiazzato da D. H. Peligro – tutti nomi posticci, facile capire perché: sono stati tra i peggiori ambasciatori della politica estera del loro paese. Una carriera tutta in salita, costruita collezionando boicottaggi (parecchi concerti in patria vennero organizzati sotto falso nome), denunce e processi.
Il democratico Jerry Brown in gioventù era stato un attivista ed un oppositore della guerra in Vietnam, ed era popolare tra i giovani liberali californiani come convinto sostenitore delle politiche ambientali. Da governatore si era però distinto per le posizioni assai conservatrici in materia di legge ed ordine: è stato così che i Dead Kennedys si sono spinti a immaginare il loro paese dominato dal fascismo hippy in “California über alles”. Il pezzo è del 1979, Biafra farcisce il testo di riferimenti letterari, da Orwell a Shakespeare, per poi modificarlo in occasione dell’elezione presidenziale di Ronald Reagan nel 1981 (e ancora una volta con l’elezione di Arnold Schwarzenegger a governatore della California nel 2003). Del resto, come aveva fatto Fabrizio de André nella sua traduzione di Dylan in “Via della povertà” opportunamente modificata rispetto al disco nei concerti degli anni Ottanta, basta cambiare i nomi dei vecchi politici aggiornandoli con quelli di oggi e la canzone funziona ancora perfettamente.
Sono il governatore Jerry Brown
La mia aura sorride e non è mai imbronciata
Presto sarò presidente…
Il potere di Carter presto verrà scacciato
Sarò führer un giorno e comanderò tutti voi
Voi ragazzini rifletterete a scuola
California über alles
Über alles California
Fascisti zen vi controlleranno, biologici al cento per cento
Farete jogging per la razza superiore
E mostrerete sempre la faccia felice
Chiudete gli occhi
Queste cose non possono succedere nel nostro paese
Il Grande Fratello sul cavallo bianco si avvicina
Dite che gli hippy non torneranno
Rassegnatevi o la pagherete cara
Ora è il 1984
Bussano alla vostra porta
È la polizia segreta vestita in jeans e camoscio
Sono venuti per quel vostro nipote non così alla moda
Venite in silenzio al campo
Sarete belli come lampade appese a un filo
Non preoccupatevi, è solo una doccia per i vostri vestiti
Ecco un bel fiore
Morite con il gas velenoso garantito naturale
L’uovo del serpente è già schiuso
Tirerete le cuoia piccoli pagliacci
Quando darete fastidio al presidente Brown
California über alles
Über alles California.
Il nome del gruppo e la copertina (alcune auto della polizia in fiamme, una scena degli scontri avvenuti nelle strade di San Francisco in seguito all’omicidio di Harvey Milk, fine 1978) resero di fatto impossibile la distribuzione commerciale del primo disco “Fresh fruit for rotting vegetables” alla loro etichetta – la IRS, la stessa di Police Buzzcocks Damned Cramps etc. – che presto li scaricò “costringendoli” all’autoproduzione ed al mercato alternativo.
L’esordio dei Dead Kennedys paradossalmente vendette più in Europa che negli Stati Uniti, primo di una manciata di album e singoli che ci si adoperò a tenere lontano dalle radio, dalle classifiche ufficiali di vendita e dalle vetrine dei negozi: presto vennero tutti confiscati, censurati o messi al bando.
Il signor padrone li lasciò fare, ma un giorno si incazzò. Nel giugno 1986 il procuratore di Los Angeles emise accusa formale nei confronti di Biafra (nonché di Michael Bonnano dell’Alternative Tentacles, Ruth Schwartz, responsabile del centro di distribuzione Mordam Records, e del titolare dello stabilimento di produzioni discografiche dov’era stato stampato il disco) per aver fatto “commercio di materiale osceno a minorenni”, violando così l’articolo 313.3 del codice penale dello stato della California. L’accusa era determinata dall’inclusione di un manifesto ritenuto “osceno” nel disco dei Dead Kennedys “Frankenchrist” – si trattava della riproduzione di “Landscape #XX” di Hans Rudi Giger (il creatore dello xenomorfo dei film “Alien”). Dopo un anno e mezzo di processo, ed un enorme campagna di mobilitazione con relativa colletta internazionale per il pagamento delle spese legali, si è giunti al proscioglimento. La pena prevista per una simile trasgressione è relativamente mite e comporta il pagamento di una multa di 2000 dollari o, in alternativa, un anno di reclusione, secondo le leggi allora in vigore in California. Quindi perché mobilitarsi? Perché questo è stato il primo caso del genere intentato negli Stati Uniti contro un disco: l’eventuale verdetto negativo avrebbe costituito un precedente legale pericoloso per migliaia di altri musicisti, artisti, scrittori, film-maker e performer.
Il signor padrone non si rassegnò: per ridurre il gruppo al silenzio si scomodarono funzionari della polizia e del governo, ricchi imbecilli e lobbisti, associazioni di genitori, catene di negozi di dischi, agenti dell’FBI e dell’MI5 e forse qualche poliziotto nostrano, la BBC ed MTV senza però riuscire a disperderne i semi – difficile trovare un qualche musicista pop-punk di adesso che non dichiari di averli ascoltati da piccolo e di non esserne stato influenzato. In migliaia di sale prova saranno riecheggiate canzoni scomode come “Too drunk to fuck”, “Let’s lynch the landlord” e questa “Holiday in Cambodia”:
E così sei stato a scuola per un anno o due
E credi di avere visto tutto
Usi l’auto di papà pensando che andrai lontano
laggiù sulla costa est i tipi come te vanno veloci
Suoni jazz etnico per mostrare il tuo gusto
sul tuo stereo di lusso
spiegando che sai bene quanto i negri abbiano freddo
e come nelle baracche ci sia così tanta sofferenza
E’ tempo di provare ciò che più temi
e un deodorante non ti aiuterà
Tieniti saldo mio caro
E’ una vacanza in Cambogia
E’ dura ragazzo, ma questa è la vita
E’ una vacanza in Cambogia
non dimenticare di portare con te tua moglie
Sei proprio un fottuto porco, succhi come una sanguisuga
vuoi che tutti si comportino come te
Bacia il culo mentre ti lamenti, così puoi diventare ricco
ma il tuo padrone diventa più ricco su di te
Lavorerai più sodo con un fucile alla schiena
per una scodella di riso al giorno
schiavo dei soldati finché non morirai di fame
poi la tua testa finirà infilzata su un palo
Ora puoi andare dove il popolo è unito
ora puoi andare dove fanno davvero funzionare le cose
Quello di cui tu hai bisogno figlio mio
è una vacanza in Cambogia
dove la gente veste in nero.
Una vacanza in Cambogia, dove baci il culo o muori
Una vacanza in Cambogia, dove farai ciò che ti viene detto
E’ una vacanza in Cambogia
dove nelle baracche c’è così tanta sofferenza.
A disinnescarsi ci pensarono loro, litigando per la spartizione delle royalties e finendo col bisticciare tramite studio legale. Con Jello Biafra ho mantenuto per un po’ dei contatti via lettera, lo incuriosiva la mia collaborazione con A/Rivista Anarchica e ha anche contribuito con un suo pezzo di spoken word a una compilation curata da me a sostegno del giornale. Allora il gruppo si era già sciolto, lui mandava avanti Alternative Tentacles ma l’aria intorno era proprio cambiata: lo scrivo per cercare di dare un senso alla deriva, allo smantellamento progressivo di una cosa che io e tanti altri ragazzi come me credevamo bella e importante. Finché è durata, è stata un gran bella storia. Un divertirsi sporco e convulso ma sano e vitale nonostante la disperazione, nonostante le minacce, nonostante l’orrore. Suono che rimbalzava addosso a muri ancora solidamente in piedi, i Dead Kennedys sono stati l’arredo musicale perfetto per l’America imperiale di Ronald Reagan, che accumulava armi nucleari e si mostrava sorridente dentro le finestre elettroniche delle televisioni. E per un’Europa che continuava ad accumulare paura e a nascondere rifiuti tossici sotto ogni cavalcavia.
Articolo a cura di Marco Pandin
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