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Speciale Kaizoku Summer Festival: intervista a Leo di Kaizoku Records

Chiacchierata con Leo di Kaizoku Records sul festival estivo giunto al suo secondo anno!

Il Kaizoku Summer Fest è giunto al suo secondo anno, festival che si svolge in estate facendo più date nel corso di tutta la stagione. Quest’anno ha coinvolto come sempre più sottogeneri del punk, dall’oi! all’hardcore, passando per lo ska e per il punk rock più melodico. Quasi tutte le date si sono tenute alla Kaizoku Farm, un campo che durante la pandemia è stato sistemato e reso agibile per questo tipo di eventi e uno di questi live si è tenuto addirittura in piazza a Imola. Insomma, tante band, tanta socialità, tanta aggregazione… passiamo la parola a Leo!

Radio Punk: Ciao Leo, bentornato su queste pagine! Per scaldare i motori, visto che sei di Imola… Raccontaci un po’, dove comincia la tua passione per il punk e per il diy?

Leo: Ciao ragazzi, è un piacere per me e noi di Kaizoku Rec tornare a narrarci su queste pagine. Beh la mia passione prima ancora del punk è del tutto musicale e di famiglia, da mio padre che suonava l’organetto alle feste paesane in Basilicata a mia sorella che si girava tutti i pub di Bologna con un’acustica e la sua voce da Janis Joplin, fino a io che suono da quando ho 6 anni (nasco come batterista), ho avuto la mia prima band blues/rock con mia sorella (“aaa sit’ come li Gazzosa”) che sicuramente, essendo più grande, mi ha portato da subito a ritrovarmi in mezzo a contesti più “maturi”; il centro sociale di Imola di allora, il Peace Maker, era nel mio quartiere ed io ero praticamente la piccolissima mascotte che stava nello stanzino “dirigenziale” a giocare a Worms su un polveroso pc windows 95, annusando curiosi odori, sentendo curiose sonorità e osservando ancor più curiose facce, look e portamenti. Da lì la strada fu breve per appassionarmi a tutto ciò che può essere definibile punk a 360°, accelerato da una musicassetta scippata a mia sorella con le meglio song del punk italico e ammericano di fine anni 90, fino a vedere in tv Carlo Giuliani a terra che, come purtroppo e per fortuna, mi ha sbloccato sicuramente qualcosa (ero un pischello di terza media nel 2001). La passione per il DIY? Pochi soldi e tanta voglia di fare era una risposta automatica, di primo gettito, ci abbiniamo un po’ di sano “LeoNerdismo” nel volersi buttare in tecniche audio e capisci che quando funziona il DIY (coi suoi ventordicimila ostacoli) è tutto più soddisfacente.

Radio Punk: Tornando a noi, sei apparso le prime volte qui sul sito parlandoci del Rotten River Camp. Questo è stato il primo festival che hai organizzato? Quali altri hai organizzato prima di arrivare ad esso?

Leo: Beh come dicevo quando sei molto giovane, con poche risorse, con tantissima voglia di suonare ma vivi in una città di provincia con pochissime possibilità per esibirti live, la prima cosa che fai è auto-organizzarti serate nei posti più inusuali, con la tua band di giovini punk e con la “cazzimma” adolescenziale di voler disturbare la comunità “imoloide” no? Il Rotten River arriva dopo tutto questo, dopo anni di auto-registrazioni in scantinati, urla dei vicini per le prove in garage e qualche primo tentativo di festival degno di local-nota, come L’anti Sonisphere Fest nel 2011 con i miei vecchi Anonima Alcoolisti, Motivated e Turn Against ma anche crew rap locali poiché sono sempre stato fetente nel mischiare tutto quello che mi passava per la “capa”, la condivisione dei valori “associali” in cui credo sono l’importanza. Tutto questo nel locale più fighetto di Imola fronte autodromo ovvero fronte festival mainstream (il Sonisphere appunto) e il festival di Imola Antifascista insieme a un giovanissimo Brigata 36 nel 2015 con degli astri nascenti del combat ska, I Balotta Continua ed uno fra i primissimi live dei Diario di Bordo, in un epoca in cui l’aggregazione anarco/comunista era ancora più o meno forte in provincia, nella cornice del centro sociale dei vez (le bocciofile di vecchio stampo democratico di sinistra).

Radio Punk: Partiamo col parlare del Kaizoku Summer Splash. Come nasce questa idea? Qual era il tuo intento il primo anno e quale il secondo? Hanno rispecchiato le tue aspettative? Qual è stata la tua data preferita? Tempo di bilanci, dicci tutto tutto!

Leo: Il Kaizoku Summer Splash, già Kaizoku Summer Festival – modificato da un post del caro amico Mauro degli Zeman dopo una serata, appunto al festival, decisamente soddisfacente almeno per lui – nasce dalle ceneri del Rotten River Camp, ceneri di stampo pandemico come potete immaginare. Dopo l’edizione 2020 annullata (anzi dopo la 2019 con ancora i giramenti di palle e sempre più voglia di imporsi, intelligentemente, sulla burocrazia) ci siamo subito attivati nell’estate stessa in formula segretissima e privata per una cerchia altamente ristretta (ve lo ricordate il 2020 no?) creando un minimo di socialità obbligatoriamente privè, in questo magico campo per non andare tutti completamente fuori di melone. A settembre di quell’anno nascono i primi mini eventi di test (vicinato, polizia, logistica…) chiusi in maniera soddisfacente (no urla, no sbirri, logistica migliorabile…). La prima ufficiale edizione del 2021 diciamo che nasce dopo tutto questo, edizione fra l’altro resa possibile grazie ad uno studio approfondito delle norme Covid, con lo scudo burocratico dell’associazione culturale (eventi privati per soli soci tesserati). Ricordiamo che nell’estate 2021 c’erano ancora più limiti del 2020, coprifuoco e divieto fino ad estate inoltrata di fare qualsivoglia evento pubblico (ma non privato e ricreativo da associazioni culturali, tadaaaan), abbiamo quindi avuto volutamente cura di questo in quanto Imola città di malelingue, invidie e ripeto che siam pur sempre in mezzo a case e vicini. Fummo infatti chiamati subito dalla municipale dopo i primi eventi, ma di fronte alla nostra preparazione normativa e le accortezze avute (fine nell’orario del silenzio, igienizzanti, cartelli informativi covid e una curata raccolta della documentazione di vita dell’associazione culturale), non abbiam fortunatamente più avuto il dispiacere. L’edizione del 2021 è stata, per questi motivi, sicuramente la più soddisfacente non tanto per l’affluenza, non solo per le band eccelse coinvolte, ma perché in una stagione in cui ai noi nessuno riusciva ad organizzare nulla noi ci siamo riusciti, lontani dai bar e dai set acustici ma con le dovute attenzioni (lo stesso anno era dietro al mixer allo Spartaco e fu un accanimento e un dispiegamento di forze agghiacciante…). L’edizione appena chiusa del 2022 è stata sicuramente più rilassante sotto questo punto di vista, abbiamo potuto alzare un po’ di più il tiro con maggiori band coinvolte e maggior numero di serate data la serenità di riuscire ad organizzare senza la paura di commettere chissà quale abominevole crimine e nonostante sia stato un anno fortunatamente di sblocco per tante altre realtà dove è stato difficilissimo non accavallarsi, inflazione galoppante, costi raddoppiati ma rifiuto di raddoppiare noi, abbiamo avuto una buona risposta ad ogni evento con il piacevole ritorno degli “affezionados” dalla stagione precedente. La serata più bella? Tutte le serate hanno trasmesso una immensa carica positiva, energica ed affettiva fra band e pubblico, non possiamo non ammettere che nell’ultima serata, nonostante le avversità metereologiche, abbiamo assistito ad una curiosa jam #fateinabat con Steno scippato dal pubblico denominata “Sacro Diario dei Nabat” (per le 3 band coinvolte di chiara intuizione) ed è qualcosa che per chi c’era, rimarrà sicuramente scolpito nei ricordi.

Radio Punk: Dietro questo bel festival c’è un collettivo o hai fatto tutto da solo? Qual è stata la difficoltà più grande e quale quella che ti ha dato più soddisfazioni?

Leo: Dietro tutto questo, e non solo, non c’è nessun collettivo, c’è una famiglia: diciamo che Kaizoku Rec è un progetto che nasce sicuramente personale, dalla voglia di completare il mio background musicale con il lato tecnico della produzione, restituendo poi indietro questa voglia alle band emergenti (non per lavoro, il mio lavoro ce l’ho).

Poi negli anni si è indirizzato molto verso la creazione di eventi e l’aggregazione, oltre che rimanere chiuso per ore dentro uno stanzino con le cuffie. Qui ho avuto la fortuna di essere supportato ed aiutato da una crew di amici sempre più unita e carica di dare vita a questo progetto. L’organizzazione dei Kaizoku Fest è lasciata molto alle competenze e la voglia di fare delle persone in un clima di reciproco rispetto e fiducia senza tanto bisogno di assembleare: io mi occupo del lato tecnico supportato da Baku e Paolina di Rumagna Sgroza per la direzione artistica; c’è Carè che si sveglia presto per preparare l’impasto delle piadine aiutato da Sara; la mia compagna Nicole e la volenterosa Viola, che non conoscevano questo mondo ed ora si destreggiano a pieno regnando in autonomia al bar e cucina (i giovani regaz ce ne sono tanti che bisogna solo coinvolgerli e si svegliano da soli); Riki e Fra alle tessere ed al corredo di bandiere NOTAV; Eric al montaggio e manutenzione campagnola (e ce n’è tanta da fare); Max e Giuseppe alle pubbliche relazioni; Adrian animazione e simpatia.

Nonostante questa fantastica family del Kaizoku che mi supporta e mi sopporta, le difficoltà sono molteplici a partire da tenere buono il vicinato; l’incremento dei costi è un problema soprattutto per le mini realtà come la nostra ed è sempre più difficile sensibilizzare che tutto questo non debba andare sulle spalle dell’artista che si esibisce (non si può avere come pubblico punk, a volte, la stessa mentalità del locandiere music club e che cazz…). Tuttavia siamo riusciti a mantenere la formula di ingresso libero con quota sociale una tantum per tutti gli eventi supportati dalle band locali che alle volte ci rimbalzano il cachet e glielo dobbiamo infilare a forza in tasca; questa è sicuramente una delle più grandi soddisfazioni, li rispetto e la devozione assoluta che hanno le band locali per la nostra realtà ma pur essendone commossi non è ciò che vogliamo anzi, sono le band a dover essere supportate, è questa la nostra mission, questo è il nostro Benefit per la scena (parola ghettizzante che non adoro ma sottocultura mi dà ancora più noia perché per me è maxima cultura 😊)

Radio Punk: Raccontaci un po’ della location, ovvero la splendida Kaizoku Farm, posto fichissimo dove fare baldoria, socialità e aggregazione…

Leo: Ora tocca fare il sentimentale e chi mi conosce sa bene che è estremamente raro: dietro la location ad oggi diventata “Kaizoku Farm” c’è una storia intrisa di emigrazione e sacrifici, di riscatto e sofferenza, di sbattimenti e di amicizia.

“Kaizoku Farm” è un semplicissimo campo senza edifici grande nemmeno 1 ettaro (un cortilone), in faticosa pendenza nelle bellissime colline dei “3 monti” di Imola di proprietà, fin prima che nascessi, della mia famiglia in quanto io famoso ricco proprietario terriero radicato nel territorio da generazioni. Ah Ah, dai va la fatemelo raccontare, in pochissimi conoscono questa storia ma quel campo è la mia anima.

Mio padre all’età di 15 anni si ritrovò orfano di mio nonno e dal ridente paesino della Basilicata di 300 anime emigrò in Germania negli anni 70 per provvedere a sua madre e a sua sorella. Lavora lavora, si invaghì di mia madre da una foto in casa di un italico buffo collega (mitico Zio Franco) scese a corteggiarla in un altro paesello del sud Italia (romanticismo di altri tempi), si sposarono e tornarono in Germania ad accumulare laute ricchezze con lavori di poca fatica. Poi ebbero la saggia idea, non si sa per quale motivo, di trasferirsi a Imola e far diventare prima mia sorella poi io unicamente Italiani (mannaggialcristo potevo indossare sandali e calzino giustificatamente prima dei giovini trapper cringe). Dopo pochissimi anni di Deutsche lavoro ben retribuito e vita fatta di spendi e spandi riuscirono addirittura a comprarsi questo enorme pezzo di terra.

Quando ero piccolo, “kaizoku farm” era tutto un vigneto, ancora posso sentire gli odori ed il sapore (eee giovane lupo semi-terrone) di quell’ottimo pignoletto di Romagna che produceva mio padre ad uso personale nel tantissimo tempo libero che aveva a disposizione dal lavoro di camionista. Ok la smetto di fare questa cosa antipatica dovevo togliermi dei sassolini nella scarpa.

Ai miei 14 anni, con una beffarda quasi precisione chirurgica, mi toccò lo stesso destino di mio padre, il cancro ce lo portò via… il rigoglioso vigneto senza più le sue affettuose cure iniziò a marcire, edera e rovi iniziarono a inghiottirsi i sacrifici di una vita, il campo dopo pochi anni di abbandono si trasformò nel bosco di “The Blair Witch Project” divenendo specchio di una sofferenza familiare ma mandando a quel paese per anni tutti quelli che si presentavano alla porta per voler acquistare il campo (per non parlare di chi arrivò subito).

Passano gli anni, io cresco, un pochino, a venti anni col cavolo che volevo prendere una zappa o passare i weekend con la motosega in mano, vicino ai 30 inizio a darmi una boomer-svegliata. Il lockdown del 2020 ed il camper che mi prese fuoco (yeeee) mi diedero un’accelerata a far tornare il campo quasi al suo antico splendore, anzi è stata proprio la mia salvezza terapeutica anti noia depressione e clausura, e spacca qui, taglia la, scava di qua (a mano e senza attrezzi sofisticati), ecco che nasce “Kaizoku Farm”. Un posto che ho voluto utilizzare per ridare socialità dopo un periodo di enorme sofferenza per tutti, un posto dove ancora una volta rinasce la voglia di andare avanti, un posto che grazie all’amore e all’amicizia non sarà mai in Svendita, un posto dove la missione è far musica senza tante “pugnette”, un posto dove chiunque venga, nel rispetto di tutti, potrà sempre sentirsi libero e a casa.

Radio Punk: …Una storia bellissima, lasciatelo dire. Prima abbiamo accennato alla grande commistione di generi che hai saputo fare sia durante le diverse date, sia anche nella stessa serata. Come pensi sia andato questo esperimento? Noi da amanti del motto “sottoculture unite” abbiamo chiaramente apprezzato, ma sappiamo che spesso non è così…

Leo: Mah in realtà credo che non abbiamo osato nemmeno così tanto, si può fare ancora di più, vorremmo iniziare a coinvolgere anche la scena rap underground e perché no pure quella metal. La nostra politica su questo tema è chiara e chi mi conosce sa anche quanto sperimento personalmente come influenze musicali (lo stesso nuovo album dei Diario di Bordo ne è un esempio). Fortunatamente i nostri soci frequentatori hanno apprezzato le varie scelte artistiche rispondendo sempre con una buona presenza; certo la “scena” street punk e punk hardcore è la comfort zone che porta più gente perché è la più vivida ma sul nostro suolo si sono esibite delle signor band punk-rock, pop-punk ed elettro-punk che anche fra i più conservatori han fatto muovere il piedino di nascosto. Come già detto quel che conta per noi è l’attitudine e i sani valori dell’anarco-punk: antifascismo, antirazzismo, antistessimo, antidiscriminazione su tutto e anti-commercialismo, ma anche anti etichette e cliché musicali. Se mi infili un synth in mezzo a un tempo punk ma lo fai spaccando il culo e non sei ambiguo, non troverai di certo la punk police a puntarti il dito contro da Kaizoku Records.

Radio Punk: A questo punto la domanda che tutti aspettano. Il Rotten River ritornerà? E se sì, dove? E Kaizoku Summer Fest, che farà, continuerà o si rimetterà in panchina nel caso dovesse tornare il Rotten?

Leo: Curiosoni! Beh il Rotten River Camp è nei vostri cuori come nei nostri. È sempre li latente l’intenzione di ripartire, di riprovare a creare quel magico festival. Con il Covid abbiamo preso tempo e ripreso le forze, il Kaizoku Summer è servito proprio a questo scopo. Tuttavia quando son 2 anni che hai creato praticamente “Libertalia”, che non devi dar retta a un commerciante gnurent’, che l’unica rottura di scatole è al massimo portare una bottiglia di vino al vicino per farlo star buono, la voglia di tornare a fare il Rotten a casa di qualcun’ altro che parla solo la lingua del cash (Ri-“Margini” docet) è pressoché pari a zero. In sintesi l’intenzione c’è la Location ancora no, se fra i lettori c’è qualche suggerimento siamo qui. Sicuramente anche in un ipotetico futuro con un Rotten in programma il Kaizoku Fest vivrà in parallelo anzi, servirà proprio per creare un filone di anteprime al festival e perché no a supportarne il finanziamento autonomo e DIY senza sponsor né booking come al nostro solito.

Radio Punk: Parlaci invece di Kaizoku Records. Che progetti futuri ci sono in generale per il tuo progetto?

Leo: Come appena detto la missione di Kaizoku Records continua ad essere quella di propagandare il punk/hardcore in tutte le sue sfumature da un punto di vista musicale perché di questo si tratta. Pur avendo dei profondi ideali che ci accomunano ovviamente alle altre realtà di questo ambito le nostre forze sono indirizzate a propagandare le vibes sonore e creare sempre di più un sistema che aiuta le band a creare contenuti, a promuoverli e ad esibirsi. Negli ultimi anni ci siamo più concentrati sul lato eventi, l’intenzione è rivolta sempre a far meglio ma anche di riprendere il lato studio di registrazione che è da un po’ fermo, nonostante abbiamo numerose richieste, ma mancano di base delle mura che stiamo cercando da tempo di ottenere come entità di associazione culturale ma come potete immaginare è un coacervo di delusioni fra bandi fasulli, ma non molliamo. Ma più che un luogo fisico ancora utopico, quello che ci piacerebbe fare, la nostra mission, è costruire sempre più una maggior rete con le altre realtà DIY di promozione musicale (come i nostri fratelli Rumagna Sgroza) per creare dei progetti attorno alla band fin dalla sala prove, ben lontani dalle logiche di una major discografica. Ci vorrà del tempo ma siamo ancora ggiovini energici e speranzosi.

Radio Punk: Imola com’è? Com’è la scena di Imola e dintorni? Come l’hai vista cambiare negli anni?

Leo: Mi viene un po’ da ridere… Diciamo pure che a Imola non c’è mai stata una vera scena punk, nonostante sia una cittadina di modeste dimensioni è comunque formata da una popolazione piuttosto borghese, con famiglie radicate sul territorio e con le spalle coperte per cui se ti appassioni al punk lo fai per unico gusto musicale, finito quello non hai abbracciato nessun altro ideale e passi anche dall’altra sponda politica. Qui gli interessi principali sono il motorsport da cui ne consegue una smaniata passione per la metalmeccanica, Vasco, l’apericena. L’imoloide medio è piuttosto noioso, standard e bigotto; mentalità di calcio popolare totalmente assente, nonostante l’imolese sia in serie C non ha manco una curva, di nessun credo politico eh, per capire l’atmosfera iper democristiana che si respira qui, manco il gusto di avere dei veri fasci da combattere (diverso a pochissimi chilometri che ci fu un’importante congrega con esponenti dai nomi altisonanti). In realtà da un punto di vista musicale Imola è piuttosto interessante, da sempre in molti si appassionano ad abbracciare uno strumento ma per lo più finiscono a suonare i Maroon Five (e niente, democristiani fino all’osso) anche se la città ha dato natali a nomi veramente degni di nota della “scena” come Paolazzi, fenomenale batterista storico dei Rebelde e Zeus e Riki fondatore ed ex Call the Cops, ma comunque siamo sempre dovuti espatriare per trovare altre anime gemelle musicanti e fondare una band (come io stesso coi Diario di Bordo). Forse l’unica generazione un po’ numerosa fu quella da cui presi ispirazione da ragazzino ritrovandomi in mezzo come narrato prima: i classe 80/82 che a fine anni 90 fecero pure un’occupazione degna di nota dell’ex manicomio ma se analizziamo bene era comunque una “scena” da parchetto dietro al bar e figlia di un periodo in cui andava per forza più in voga anche fra chi in realtà un vero odio sociale non aveva bisogno di svilupparlo (infatti saranno rimasti in 2/3 imperterriti su tanti ormai figliati accasati e accomodati).

La generazione a cui appartengo, disastro totale, nei primi anni 2000 eravamo i 4 Antò a Montesilvano in mezzo a una marea di Gabber. Oggi il nulla cosmico.

Lo stesso centro sociale (già Peacemaker ora Brigata 36) un tempo ha regalato vere emozioni: un caro amico nei primi anni 2000 vi organizzava delle serate hardcore con gruppi americani favolosi, veniva gente da tutta Italia, il posto era murato il mercoledì sera, che tempi! Ad oggi è piuttosto dormiente, a parte rare occasioni, con una frequentazione e mood più tekno-raver che punk.

Ma è proprio da questo che trae ispirazione e forza il progetto di Kaizoku Records, tenere viva una sottocultura musicale in una realtà provinciale davvero ostica (“Margini” docet) cercando di coinvolgere le nuove generazione per non rimanere in 4 vecchi panzoni nostalgici con le ragnatele non solo nel gomito.

Radio Punk: Chiudiamo in bellezza e ti ringraziamo, raccontaci l’aneddoto più bello e quello più grottesco in cui ti sei imbattuto in questi due anni!

Ma grazie a voi quale altra realtà in massimo sbattezzo per questa scena, WeLoveU!!!

L’aneddoto più bello? è ovviamente anche quello più grottesco: ci fu una persona che per rispetto non nominiamo, chiamiamola “Mister X”, (tanto è già abbastanza “perculato” in amicizia) che bello barcollante si aggrappò a una botte di vino gigante messa in mostra a metà salita, a mo di accoglienza agrituristica fra torchi damigiane e via discorrendo. Tira qua tira la, non rendendosi ben conto di dove stesse collassando – in cima alla botte c’èra appoggiato il trincia uva, un attrezzo di ferro bello pesante – “Mister X” si tirò tutto addosso capitolando in direzione di 2 bombole del gas che ruzzolarono verso l’area festa, panico, uno dei nostri corse verso le bombole e riuscì a bloccarle prima di fare uno split 7:10 sulla gente. Io da lontano tutto tranquillo mi sono più che altro preoccupato di soccorrere “mister x” perché, non essendo uno sprovveduto, sapevo che le bombole in quel punto erano completamente vuote ma solo io ne ero a conoscenza quindi immaginatevi la scena.

La cosa divertente di questa vicenda è che appena un microsecondo prima una persona che conosce molto bene le abitudini lussuriose di “Mister X” venne da me a dirmi “Strano che non si sia ancora fatto male”.

Tranquilli, oggi “Mister X” sta benissimo.

In foto di copertina, parte della “famiglia” Kaizoku al Vecchio Son di Bologna

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