Speciale Box Klasse Kriminale: intervista a Marco Balestrino
Chiacchierata con Marco Balestrino dei Klasse Kriminale sul Box Restored, Remixed and Remastered uscito per Flamingo Records e Demons Run Amok
Con Marco Balestrino, cantante dei Klasse Kriminale, è difficile annoiarsi e da quando abbiamo iniziato a parlare del Box Restored, Remixed and Remastered ci siamo ritrovati a fare decine di chiacchierate sia telefoniche che di persona. Discorsi e idee che hanno portato alla nascita di questo mastodontico cofanetto. Abbiamo pensato che sederci davanti ad uno stereo, con il box davanti, e riportare ai lettori di Radio punk una di queste chiacchierate, potesse essere un modo interessante per raccontare i dietro le quinte del nostro lavoro. Immaginatelo come un “making of” nel menu di un buon film in dvd!

Alberto Flamingo: Dove nasce la necessità di creare un lavoro come questo, non solo antologico ma molto più strutturato?
Marco Balestrino: Volevo creare un documento sonoro che catturasse quegli anni, quei suoni, quei momenti. Volevo però dare al nostro pubblico qualcosa di esclusivo. Avremmo potuto fare un cofanetto con gli album, i singoli e qualche inedito dal vivo, ma visto che avevo le bobine dei vecchi lavori ho voluto fare un nuovo viaggio e tirare fuori da quelle vecchie registrazioni quello che per una serie di motivi non ero riuscito a fare in studio a quei tempi. In questo Box set non ci sono solo 5 CD pieni a tappo di musica, ma è racchiusa la storia di molti ragazzi ed era giusto farla suonare al meglio, ridando una dignità sonora a quelle che sono state le varie formazioni dei Klasse Kriminale durante quei primi travagliati anni, tutto con lo spirito Punk del tempo. L’idea era dunque creare un qualcosa che potesse rimanere e che fosse anche bello da ascoltare. Abbiamo creato uno spaccato che ha fotografato dalla prima metà degli anni 80 fino a fine 90, in pratica l’era analogica delle nostre registrazioni. Come dicevo quando abbiamo registrato gli studi erano quello che erano, le esperienze del Rock’n’Roll in Italia ancora molto indietro, quindi abbiamo pensato di remixare e rimasterizzare senza però correggere nulla. Al giorno d’oggi avremmo potuto mettere in griglia alcune cose, sovraincidere e fare aggiustamenti, ma non lo abbiamo fatto.
Alberto Flamingo: Immagino non sia stato un lavoro semplice…
Marco Balestrino: Le bobine avevano subito il normale deterioramento del tempo. Le Ampex 456, di cui abbiamo riprodotto fedelmente la scatola che contiene i cd di questa antologia, sono tra quelle che subiscono maggiormente l’usura. Pensa che quando alla fine degli anni 90 andai in Inghilterra a registrare “Electric Caravanas” con Jimmy Pursey alla produzione, vidi che in quello studio quel lavoro veniva già fatto, molti nastri del Pop inglese venivano digitalizzati. La bobina veniva scaldata tramite un forno apposito ad una certa temperatura, di modo che si scollasse e poi digitalizzata con appositi macchinari. I prezzi per quella procedura ai tempi erano proibitivi, e anche oggi a dire il vero non è stata un’operazione al risparmio. Però l’idea nella mia testa c’era già all’epoca. Va anche detto che quel periodo di passaggio della musica da analogico a digitale corrispondeva anche con un momento particolare dei Klasse Kriminale, cambiava un po’ la storia del movimento Oi! Skin non solo italiano, ma anche mondiale. La nostra missione fino a quel momento aveva coinciso in modo indissolubile con la rinascita e la diffusione di quel movimento, mentre in quei giorni stavo guardando altrove e sviluppando altri progetti, quindi si sarebbe aperto un capitolo diverso che non fa parte di questo cofanetto.
Tornando alle bobine, circa un anno fa sono stato contattato da un collezionista tedesco che voleva acquistare i nastri digitali. Ho colto l’occasione per concretizzare l’idea di ormai quasi 25 anni prima e recuperare tutto il materiale. Ovviamente era un’impresa da pazzi, dieci anni di registrazioni costituivano un quantitativo ragguardevole di materiale e di conseguenza una spesa di base grossa. Il lavoro è stato svolto all’Analogplanet di Pavia, inoltre tutti i brani sono stati affidati a Giulio Farinelli che aveva svolto un lavoro eccelso su “Vico dei Ragazzi” (l’ultimo album dei Klasse Kriminale ndr) e che ha avuto il merito di far suonare tutto in modo omogeneo.
Alberto Flamingo: Un ritorno al passato per te…
Marco Balestrino: La cosa interessante del lavoro di mix così mastodontico è che si deve approcciare in modo completamente diverso da un album, dove si va a spaccare il capello; tempi e costi sono diversi e si deve dare un colpo al cerchio ed uno alla botte per ottenere un buon sound; anche perché come ho già detto non abbiamo fatto correzioni. Dopodiché ulteriore passaggio per fare un master professionale assieme a Giovanni Nebbia di Imperia. Abbiamo insomma lavorato per ottenere il massimo da questa musica e alla fine credo che fosse doveroso catturare l’ultima epoca della musica analogica, personalmente credo che con l’avvento del digitale l’arte abbia perso qualcosa. Senza fare i nostalgici, prima era tutto più complesso, dispendioso e c’era una sorta di gavetta per arrivare ad incidere. Si riuscivano a fare delle correzioni per carità, ma era molto meno immediato, si doveva arrivare in studio e suonare. Così come l’arte grafica, fatta di foto, ritagli, pellicole da sovrapporre. Comunque credo che ne sia uscito un viaggio interessante, gli anni vanno veloci e non mi ero mai soffermato a riascoltare così tutte le mie cose.
Alberto Flamingo: Una cosa che ho notato è che il suono dell’epoca non è snaturato, suonano meglio, ma le produzioni dell’epoca sono state rispettate. Spesso si cerca di “pompare” per rendere più moderno tutto quanto.
Marco Balestrino: Il lavoro ha dovuto logicamente stare a dei compromessi, registrazioni su dei 16 piste, altre su dei 24 piste, musicisti e studi diversi hanno comportato scelte di mezzo per non far suonare il tutto in modo troppo scollato. Si può fare sempre meglio, ma credo che la naturalezza e l’omogeneità fossero l’obiettivo primario. Le registrazioni su 24 piste avrebbero potuto essere ancora più definite, ma poi avrebbero affossato quello sui 16 piste da cui abbiamo invece tratto il massimo possibile.
Alberto Flamingo: Un’altra cosa che possiamo notare sfogliando e ascoltando è che nel corso degli anni hai riproposto alcuni brani con musicisti diversi e a volte con dei cambi di arrangiamento, questi cambi sono dettati semplicemente dalla necessità di far suonare il brano a gente diversa o nel tempo hai sentito la necessità di “rinfrescarli” per adattarli a nuovi contesti?
Marco Balestrino: Ho sempre cercato di migliorare quello che avevamo, oggi come allora sono sempre alla ricerca di un sound migliore, del suono Prole Rock. Chissà forse prima o poi ci arriverò! Poi comunque era un processo obbligato, incidevi un demo tape da dilettanti allo sbaraglio e poi andavi a rifare gli stessi pezzi su un LP cercando di migliorarli. Se guardi indietro al Rock o allo stesso Punk, il processo è sempre stato quello, demo, singolo e poi album con i pezzi suonati in modo più professionale. Anche se non eravamo dei professionisti e non c’era nessuna casa discografica abbiamo sempre affrontato il lavoro nel modo più professionale possibile. Eravamo dei ragazzini, ma lo erano anche i Clash, sai bene che “White Riot” è nella demo del 76′, poi nel singolo e infine nell’album.
Alberto Flamingo: Prendo spunto dalla tua ultima considerazione sui Clash per allacciarmi ad un altro discorso: un pezzo come “Heart of Glass” dei Blondie in versione demo era rockettino e poi è stata trasformata nel successo disco che tutti conosciamo, lì però c’è dietro un lavoro di management, di produttori e case discografiche che danno input. Voi avete sempre agito da indipendenti e senza aiuti esterni o qualcuno che vi dicesse come arrangiare le canzoni per ottenere più successo.
Marco Balestrino: Sì, loro erano dall’altra parte del mondo, nel momento giusto, con altri budget e un produttore al loro fianco. Noi abbiamo sempre fatto la produzione dei nostri pezzi con l’aiuto del fonico di turno e per fargli capire dove volevo arrivare gli facevo ascoltare i suoni delle band che mi avevano influenzato, ancora oggi mi presento in studio con una valigia di CD. Poi non sempre la cosa riusciva… se senti la demo “Odiati & Fieri” secondo me suona meglio dell’album “Ci Incontreremo Ancora Un Giorno”. In quel caso mi ero trovato male in studio, le riprese erano andate male: microfoni, gate sugli strumenti, suoni della chitarra. Abbiamo provato a cambiare studio per il mixaggio, ma il suono era già compromesso e in più il sound dominante all’epoca era quello dei Cult o peggio dei CCCP. C’erano di moda dei suoni che potevano ammazzare letteralmente un brano Punk.
Poi ripeto, a volte il momento era determinante, “Costruito In Italia” è stato quasi un’esperienza estiva, un attimo colto al volo. Ho incontrato un Punk di Milano che si chiamava Luca e che suonava la chitarra (e con noi ha suonato il basso, oggi è un bassista professionista) e ci siamo messi a parlare e abbiamo avuto l’idea di registrare il singolo. Anche il batterista (Maurizio) e la seconda chitarra (Fabio) praticamente beccati per caso girando e perdendo tempo sulle panchine nelle serate estive; pensa che quella formazione non ha mai nemmeno suonato dal vivo. Ma anche l’album “Ci Incontreremo Ancora Un Giorno” è nato quasi per caso, non stavamo più suonando, no concerti, no line –up, ma c’era un po’ di aspettativa, di richiesta da parte di fanzine e di kids sparsi per il mondo. Sai, ricevevamo almeno due o tre lettere al giorno, la comunicazione in quei giorni era una figata, sul singolo c’era l’indirizzo di casa e in quei giorni ci sono venuti a trovare senza neanche un preavviso Skinhead italiani, francesi, tedeschi… Tutto era così spontaneo, semplice, tutti ci sentivamo parte di qualcosa veramente nostro. L’esigenza dell’album c’era, così io e Antonella abbiamo messo un annuncio in un negozio di dischi, arrivò Franco un ragazzo che suonava il basso e imbarcammo alla batteria Ringo, un metal kid che suonava Thrash e dopo qualche prova abbiamo registrato l’album. Per il Punk e ancora di più per l’Oi! erano anni abbastanza bui però con un annuncio o una recensione i dischi si vendevano.
Alberto Flamingo: Immagino non fosse facile suonare dal vivo per voi…
Marco Balestrino: Eravamo un gruppo Oi!, per la stampa, le istituzioni e per chi organizzava concerti eravamo il nemico pubblico numero uno, noi e tutti quelli che ci seguivano.
Alberto Flamingo: Avete avuto la capacità mantenere il vostro vecchio pubblico ma di coinvolgere sempre le nuove generazioni. I ragazzi di oggi hanno preso “Vico dei Ragazzi” e ne hanno fatto la bandiera di questi anni, altri sono magari legati al periodo intermedio o a quello iniziale; negli anni non si è evoluta solo la musica ma anche i testi e le tematiche.
Marco Balestrino: Sì, eravamo una band Oi! Che faceva parte di un movimento ed eravamo nei primi anni molto legati a quella scena, portarla avanti era una missione. Parlavamo di quello che succedeva nel movimento. “I Ragazzi Sono Innocenti” era una denuncia forte contro i giornali e i giornalisti. Nasce dopo i fatti di Rostock, quando il mondo è venuto a conoscenza del fenomeno naziskin. Da lì un’attenzione strana nei miei confronti, giornali chiedevano interviste. Anche la Digos aprì un’indagine e si presentò a casa mia, i giornali ci accostavano ai nazi. Panorama, Espresso, non si parla di fanzine. Avvenne persino che un giornalista venne con noi in Germania per scrivere un dettagliato articolo su King e sull’Europeo con tanto di foto. Noi al tempo quindi un contatto positivo cercammo di averlo, purtroppo anche in quell’occasione le speranze e la fiducia furono mal riposte, l’articolo non fu come ce lo aspettavamo nonostante il giornalista in questione venne trattato molto bene. I titoli e i discorsi erano tutti sensazionalistici, ci dipingevano come una scena ottusa e violenta. Mi toccò anche di fare una sceneggiata in stile spaghetti western in redazione della Stampa, dopodiché non scrissero più nulla sui Klasse Kriminale.
Parlando di testi, quando abbiamo iniziato, era solo qualche anno dopo l’esplosione dell’Oi! Nel Regno Unito, a Londra incontravi ancora gli Skinhead che vedevi nelle foto delle fanzine ed erano ancora giovani, tutto era fresco eppure nei miei testi sembrava già una cosa molto vecchia. Sarà perché eravamo qui in periferia, lontani da tutto, ma la sensazione era quasi quella che il treno fosse passato, anche se in realtà era tutto in parallelo, ti parlo di noi ma anche dei Nabat, eravamo abbastanza in linea con i tempi ma forse la distanza fisica e l’isolamento acuiva anche quel breve scarto temporale. Per farti un esempio “2.000.000 Voices” degli Angelic, uno dei miei dischi preferiti, quando l’ho ascoltato era vecchio solo di qualche mese, eppure mi sembrava già uscito da molto più tempo. Direi che i testi dei primi due album erano intrisi di una certa malinconia. In generale i testi hanno raccontato quello che mi stava succedendo intorno, forse per questo ogni generazione è legata a un certo disco dei KK, perché parlava del loro tempo.
Alberto Flamingo: Oltre al discorso dei nastri c’è anche un sacco di altro materiale in questo box, live, rarità e inediti, vuoi raccontarci?
Marco Balestrino: Sì, io ho sempre registrato tutto, anche in sala prove, pensa che la prima saletta era qui dove siamo adesso, (nel magazzino delle meraviglie Oi! a casa di Marco ndr) chiaramente era insonorizzata con i cartoni delle uova e il polistirolo. Avere questo posto mi ha anche facilitato, potevi incontrare qualcuno e organizzare subito delle prove, il che per la mancanza di mezzi dell’epoca era una cosa importante. Ho ancora la nostra vecchia batteria qui da qualche parte. Tornando alla domanda, ho sempre registrato, sia per documentare che per praticità, potevo dare i brani da ascoltare ai nuovi/prossimi musicisti. Quindi avevo questo scatolone di cassette e grazie ad un amico che me le ha digitalizzate abbiamo potuto ricostruire questo ulteriore spaccato. C’è stato un complesso lavoro di ascolto e selezione del materiale ascoltabile e quello più interessante. Poi ascoltando i concerti ho avuto modo di ricordare amici, aneddoti e situazioni che avevo un po’ perso nella mia memoria. Questo nelle prime recensioni è già saltato fuori, la gente ha quasi più parlato di momenti e ricordi legati a noi e ai nostri concerti che della musica, anche questo è un aspetto interessante di questo box.
CD 1
è il cd delle origini. Contiene il primo demo “Odiati & Fieri” che uscì nel 1988 in qualche centinaio di cassette confezionate con un libretto fotocopiato con testi e foto, il singolo “Costruito In Italia” e alcuni pezzi live che testimoniano il nostro inizio con tastiera e sax. Tra le cassette ho trovato l’inedito “Dure Scelte” e un live di Warhead degli UK Subs cantata da MGZ
CD 2
Contiene l’album di debutto “Ci Incontreremo Ancora Un giorno”, un paio di session che finiranno sul secondo album “Faccia A Faccia” del quale purtroppo una bobina è andata persa. I live testimoniano una data a Londra e il concerto di spalla agli Angelic Upstarts la prima volta in Italia, in un momento difficile per loro e il movimento Oi! tenuto sotto assedio dagli assalti dei nazi.
CD 3
“That’a Promise” e un demo con 4 pezzi, il primo lavoro senza Antonella e con Manlio passato alla chitarra era la base per “I Ragazzi Sono Innocenti” di cui troviamo l’intera session. Tra le rarità la registrazione dei pezzi suonati per Indies su Video Music e di un concerto in diretta radio negli studi milanesi di Radio Popolare e qualche live di un mini tour in Germania insieme ai Red Alert.
CD 4
Racchiude tutto il periodo con Riccardo, Betty e Castel dei Reazione, delle registrazioni in studio con Paul Chain e alcuni live dal “Planet Punk Tour”, “Tiziano Ansaldi Benefit Tour” e su altri palchi. È il cd che racconta la rinascita dell’Oi! che culmina con i concerti al Leonkavallo insieme a Nabat e Ghetto 84 per il “Tiziano Ansaldi Benefit Tour”.
CD 5
Il singolo “Mind Invaders” con lo zampino di Luther Blisset e Il demo che preparava l’album “Electric Carovanas”. Tra le rarità prese da cassette e DAT ci sono brani dal demo “Boys’ Own” e live in Germania e Italia, tra cui quello all’ Inmensa di Genova. Da qui in poi è stata tutta un’altra storia per tanti motivi, ma chi ci segue già lo sa…
Foto di copertina di Fabrizio Barile
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