Minoranze linguistiche e musica impegnata in Francia
Secondo excursus sulla connessione tra lingue minoritarie, musica contemporanea e militanza politica
Dopo il primo articolo sulle minoranze linguistiche e musica impegnata in Italia, ecco a voi il nostro secondo articolo sulla tematica delle lingue minoritarie, questa volta parlando della Francia. Se vi foste persi la nostra playlist punk in lingue minoritarie, potete recuperarla qui.
Di seguito, l’articolo completo. Buona lettura!
François Fontan, “Etnismo”:
“Per tutto il tempo in cui si svolge, l’assimilazione significa per il popolo sottomesso un maggiore ostacolo all’acquisizione dell’istruzione. L’insegnamento dato in una lingua straniera, la riduzione della lingua materna a livello di lingua non-letteraria, di lingua paria e disprezzata, impedisce lo sviluppo delle facoltà creative dell’individuo, distrugge una condizione essenziale dello sviluppo del bambino e porta così tutto un popolo ad una specie di rimozione e di deperimento culturale.
Trotsky, “E ora?”:
“L’elemento distintivo nel bolscevismo nella questione nazionale consiste nel considerare le nazionalità oppresse […] non solo come un elemento oggettivo, ma come un elemento soggettivo della politica. Il bolscevismo non si limita ad accordare loro il “diritto” all’autodecisione e a protestare al parlamento contro la violazione di questo diritto. Il bolscevismo penetra tra le nazionalità oppresse, le fa insorgere contro l’oppressore, collega la loro lotta a quella del proletariato dei paesi capitalisti, insegna ai cinesi oppressi, agli indiani o agli arabi l’arte dell’insurrezione e si assume tutta la responsabilità di questo lavoro di fronte ai carnefici civilizzati. Solo qui comincia il bolscevismo, cioè il marxismo rivoluzionario nell’azione. Tutto ciò che non raggiunge questi limiti, resta centrismo.”
Antoni Simon Mossa, “Le ragioni dell’indipendentismo”:
“La Francia, il paese che ha insegnato la libertà agli altri popoli, che ha una popolazione democraticamente matura, è tuttavia ancora oggi il paese più nazionalista e anticomunitarista che esista. La cultura francese ha indubbiamente contribuito a sopire e, in taluni territori, a cancellare ogni coscienza comunitaria.”
I principali idiomi costretti a una condizione di lingua “minoritaria” in Francia (e che riguardano più della metà della superficie dello stato) sono il fiammingo (nel Westhoek francese, regione dell’Alta Francia), l’arpitano conosciuto anche come franco-provenzale (parlato in diverse aree delle regioni amministrative di Borgogna-Franca Contea e Alvernia-Rodano-Alpi, oltre che in Svizzera occidentale e in Italia, nello specifico in territori sparsi tra Valle d’Aosta, Liguria, Piemonte e addirittura in un paio di comuni pugliesi), il bretone e il gallo in Bretagna (Breizh e Bertègn, nelle lingue native), il tedesco in Lorena, l’alsaziano in Alsazia, l’occitano in quasi tutta la Francia meridionale, il basco nell’Iparralde, il catalano nel Rossiglione o Catalogna del Nord, il romaní (soprattutto al sud), il corso e in un paio di comuni della Corsica il ligure (dove fino alla seconda metà del secolo scorso esisteva una storica minoranza greca nel comune di Cargese). Riguardo altre parlate è in corso il dibattito se esse rappresentino varianti del francese (identificato come il prosecutore dell’antica langue d’oïl) o se possano essere ritenute autonome, come il piccardo, il normanno, il vallone, il pittavino-santongese, il lorenese, il francoconteese, il borgognone e lo champenois.
Ci si potrebbe azzardare a definire la Francia, analogamente a Italia e Spagna, uno stato creato sulla base di interessi, invasioni e conquiste e senza tenere conto di fattori reali come la composizione demografica, la distribuzione linguistica-etnografica e soprattutto l’effettivo volere degli abitanti di queste regioni, che si sono visti per secoli negare diritti di base concernenti l’autodeterminazione, la formazione di proprie amministrazioni e/o enti Statali e l’uso della propria lingua su tutti i livelli; la Francia, non a caso, è considerata come una sorta di “mangia-minoranze”. Insomma, che si parli di Bretagna, Occitania o Alsazia, l’annessione è sempre stata ottenuta con la spada e il fucile oppure con accordi matrimoniali tra aristocratici; pertanto, per il proletariato e gli strati popolari simili accordi valgono meno della carta straccia e la loro antichità non fornisce alcun valore aggiunto, anzi, è una riprova del fatto che siano ampiamente superati, come lo sono le stesse leggi e costituzioni in materia (è quasi futile sottolineare quanto siano ipocrite le istituzioni internazionali, che a un tempo riconoscono il diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza ma anche l’”intangibilità dei confini” dei grandi Stati, principi contraddittori da poter utilizzare a uso e consumo degli stessi enti o blocchi imperialistici).
Doveroso ricordare le numerose colonie d’oltremare tutt’oggi in mano all’amministrazione francese, in cui sono presenti particolari linguaggi che hanno spesso avuto il ruolo di veicolare forme di comunicazione ed espressione rivoluzionarie e anticoloniali, che meritano un discorso a parte e da affrontare in altra sede. Queste colonie sono Nuova Caledonia, Wallis e Futuna, Polinesia orientale, Guadalupa, Martinica, Mayotte, Riunione e Guyana orientale, dove sono state presenti formazioni marxiste e antimperialiste (trotskiste, maoiste, marxiste-leniniste o legate alla New Left) sfociate anche in forme di lotta armata come l’Alliance révolutionnaire caraïbe, il Groupe de Libération Armée e Yich Telga.
Tendenzialmente l’indipendentismo sul suolo francese è schierato su posizioni progressiste, talvolta e soprattutto in determinati decenni apertamente rivoluzionarie, ma in alcune regioni le forze politiche di questa tendenza si sono contraddistinte per essersi approcciate alla questione nazionale facendo richiamo al più becero tradizionalismo e alle peggiori forme di nazionalismo, opponendosi alle teorie sull’etnismo di François Fontan e Antoni Simon Mossa, spiccatamente anti-nazionaliste. I movimenti alsaziani, fiamminghi, nizzardi e savoiardi si sono purtroppo caratterizzati per posizioni centriste e tendenzialmente conservatrici e piccolo-borghesi, arrivando talvolta a sfiorare la xenofobia e il neonazismo (Nissa Rebela, Alsace d’abord, Vlaams Verbond van Frankrijk dell’abate Gantois, Adsav in Bretagna; da notare come molto spesso formazioni di questo tipo o conservatrici moderate rivendicano posizioni più vicine all’autonomismo e al regionalismo che all’indipendentismo vero e proprio, preoccupandosi più di “contrastare la costruzione di minareti” o della “distribuzione di zuppe della cucina locale intrise di lardo” che i credenti musulmani osservanti non possono consumare, e altre azioni sinceramente ridicole).
Ciò è accaduto, per esempio, anche in Bretagna nella prima metà del “secolo breve”, in quanto diversi raggruppamenti composti in larga parte da elementi provenienti dalla piccola e grande borghesia e dal clero hanno ricercato l’alleanza durante la Seconda guerra mondiale con la Germania nazista, alleanza coronata dall’apporto di militari volontari, sperando di ottenere una presunta “liberazione” della loro terra con l’ausilio e la sudditanza a una potenza esterna di tal fatta reazionaria. La responsabilità ricade anche sulla dirigenza dei partiti e movimenti della classe lavoratrice, che o ha ignorato il problema o ha adottato posizioni ridicole che si appellavano a forme di “patriottismo” dietro cui si nascondono reminiscenze nazionaliste e social-imperialiste che pretendono radici nei giacobini e nella Rivoluzione francese (si pensi agli atteggiamenti talvolta ambigui del Parti communiste français nei confronti dei popoli in lotta nelle colonie e delle lingue minorizzate).
I popoli qui trattati considerano la loro oppressione specifica, definita colonizzazione interna, tripartita in tre diversi fattori: politica, derivante dal centralismo forzato, economico e sociale, causata dal capitalismo, e culturale, originata dal giacobinismo e dalla borghesia, che necessitava di Stati centralizzati su tutti i piani, anche quello linguistico. I movimenti nazionalitari interni ai “piccoli” popoli spesso assumono connotazioni antinazionaliste, a differenza di ciò che affermano i detrattori opportunisti moderati e gli esponenti dell’”ultrasinistra”, che si schierano inconsapevolmente sulla stessa barricata della reazione (si parla in particolare degli sciovinisti di “Sinistra”, impegnatissimi spesso più a produrre propaganda “patriottica” e critica nei confronti del “separatismo” che nelle battaglie dei lavoratori e lavoratrici) dello stesso stampo degli ingloriosi rappresentanti della democrazia sociale che appoggiarono il grande massacro della Prima guerra mondiale), mettendo in discussione le stesse radici del nazionalismo e dell’imperialismo francese (non a caso gli esponenti della destra si occupano di “denunciare” questi movimenti come “l’anti-Francia”).
OCCITANIA
Conosciuta come lenga d’óc, la lingua occitana ha avuto un fiorente passato, anche come lingua letteraria (in particolare nel Medioevo), fino alla crociata invocata dal papa contro gli eretici càtari, decisamente infausta per le genti di quei territori che hanno dovuto subire l’oppressione cattolica attraverso il Tribunale dell’Inquisizione. Engels stesso parlò del contributo alla cultura europea e della sanguinosa invasione subita da questo popolo nella Neue Rheinische Zeitung nel 1848, anche se concluse che il movimento occitanista suo contemporaneo fosse reazionario e in difesa dei residui feudali; agli inizi del Novecento, invece, il sud fu soggetto dell’odio e del razzismo del nord, in particolare a seguito della rivolta dei vignaioli del 1907, e il sud cominciò a essere identificato come il covo del “repubblicanismo, del giudaismo, del protestantesimo, del parlamentarismo, della massoneria”.
L’Occitania propriamente detta è un territorio esteso, che comprende quasi tutta la Francia meridionale, la Val d’Aran amministrata dalla Catalogna spagnola, il Principato di Monaco e le Valli Occitane in Piemonte. Lo status di questo idioma non è dei migliori, avendo subito secoli di repressione da parte dai burocrati francesi che hanno stabilizzato il loro dominio anche tramite politiche linguistiche discriminatorie, mentre nell’entità amministrativa della Catalogna sottoposta alla Spagna gode di una condizione di co-ufficialità. Negli ultimi decenni il movimento pan-occitanista sta attraversando una stagione felice anche se ridimensionato rispetto agli anni Settanta, in quanto il contatto e la fusione con i movimenti di lotta riguardanti la tutela dell’ambiente e l’antifascismo è ben riuscita.
Figura storica di maggior prestigio del movimento e principale teorico è François Fontan, che ha un excursus di militante assai particolare, come testimoniano le sue fasi di militanza: dapprima membro di un improbabile formazione monarchico-socialista, poi anarchico, trotskista e maoista. Fondatore di gruppi cardine come il Partit Nacionalista Occitan (ora socialdemocratici anche se ispirato in origine dall’FLN algerino e dal marxismo), il Movimento Autonomista Occitano (la cui sigla, MAO, non è affatto casuale), la sua teoria ha subito anche una forte influenza dallo psicanalista marxista Wilhelm Reich e dall’antimperialismo (venne condannato a causa del suo aiuto all’Fronte di Liberazione Nazionale algerino ma fu caratterizzato anche da discutibili prese di posizione pro-sioniste nell’ambito della questione palestinese).
Tradizionalmente un settore “a Sinistra”, oltre ai gruppi socialdemocratici (Partit Occitan, Esquèrra Republicana Occitana, Bastir!) l’indipendentismo occitano vanta e ha vantato formazioni marxiste e anarco-comuniste come Organizacion Democratica del Pòble Occitan, Libertat!, Lucha Occitana, Occitània Libertària, Federacion Anarquista Comunista d’Occitània, Anaram Au Patac, Pòble d’Òc, Patriòtas Occitans, Reviscòl Roergàs, Corrent Revolucionari Occitan, Hartèra, e Brigade Rouge d’Occitanes. Anche un altro fra i maggiori teorici dell’occitanismo, Félix Castan, fu in precedenza aderente al Parti communiste français.
Sorta di inno nazionale occitano è Se chanta, teoricamente una canzone d’amore ma nella pratica utilizzata come canto di resistenza albigese contro la crociata (o in altre parole, invasione militare) ed esiste una sorta di governo provvisorio chiamato Republica Federala Occitana. Un aiuto allo sviluppo di questi movimenti è derivato dalle politiche gaulliste, che tendenzialmente privilegiavano lo sviluppo delle regioni del nord e hanno determinato la chiusura del centro minerario e industriale di Decazeville, inasprendo i rapporti tra Francia e Occitania.
La musica occitana è sempre stata vivace e conosciuta per l’impiego di un gran numero di strumenti caratterizzanti dell’area (fifres, rebebas, semitons, galobets, samponha, bodega, eccetera) e per la presenza di cantori-musicisti girovaghi detti trobadors, ma nel secolo scorso c’è stata una svolta che ha malauguratamente portato a considerare tutte queste caratteristiche come immutabili e più adatte alle rievocazioni storiche a base di balli folcloristici e canti popolari, fenomeno a cui si è opposto il movimento della Nova Cançon Occitana (anche grazie alla spinta dell’analogo fenomeno catalano), che ha sì recuperato pratiche e canti popolari di antica origine, ma non ha proceduto al medesimo processo di imbalsamazione etno-folclorico. Esponenti come Daniel Daumàs, Mans de Breish, Marie Rouanet, l’anarchico Joan-Pau Verdier, Patric, Claudia Galibert, Josiana Vincenzutto (il cui cognome è inequivocabilmente di origini friulane), Claudi Martí, Pèire-Andrièu Delbeau, Jacmelina (autrice della Cançon Per Puig Antich), Jan Mària Carlotti, Cardabèla, Tòcabiòl, André Chiron, i guasconi Nadau (tra i più conosciuti, molto attivi anche nella creazione delle scuole con l’insegnamento impartito in occitano conosciute come Calandretas e nel Cap’òc, servizio di elaborazione pedagogica in lingua d’oc), i Bombes 2 Bal, Marc Perrone, Los pagalhós, i Los Caminaires D’Oc, Rosina De Peira e Martina, Jan dau Melhau, Peiraguda, Miquèu Montanaro, l’anarchico Gaston Beltrame, Eric Fraj, Francesa Daga e Didier Duponteix hanno contribuito a creare un legame tra lotta occitanista e militanza di Sinistra (infatti hanno partecipato attivamente alla Luta del Larzac, che ha visto i contadini locali affrontare l’espansione delle terre destinate all’uso militare tramite l’espropriazione dei terreni), fungendo con le loro canzoni da “colonna sonora per il ’68 occitano”, movimento in cui i piccoli Woody Guthrie prosperarono e avanzarono i loro attacchi nei confronti della “colonizzazione interna” francese.
Se i loro successori nella parte “italiana” adottano un approccio che parte dalla musica da ballo e a cui aggiungono elementi più o meno rockeggianti, nell’Occitania “francese” le band più combattive solitamente hanno un approccio più legato alla patchanka (termine molto generico, il cui riferimento storico principale è Sandinista!, album storico dei Clash, che ha proceduto a un’eterogenea miscela di generi anche molto distanti fra loro). Gruppo impegnatissimo, in attività nell’underground dall’emblematico 1984, è quello originariamente reggae dei Massilia Sound System, molto legato alla città e alla sua squadra (la cui tifoseria è schierata a Sinistra) e nucleo di partenza per molti altri progetti. Altri complessi eterogenei sono i Fabulous Trobadors (che hanno tra le altre cose preso pubblicamente posizione contro i fascisti del Front National) e le loro “cugine” Femmouzes T., Papet J., i Nux Vomica, Moussu T e lei Jovents (la cui pagina Facebook è molto chiara sul lato della barricata scelto, con post in solidarietà al Rojava, alla Catalogna, agli scioperi, agli zapatisti e bandiere rosse con falce e martello), i Mauresca Fracàs Dub, gli Oai Star, i Lo Còr de la Plana, i D’Aqui Dub, i Lo Mago d’en Casteù, i La Talvera, la Compagnie Lubat Dé Gasconha, i linguadociani Du Bartàs (che hanno realizzato una versione del canto antifranchista ¡Ay Carmela! e uno all’anarchico Sante Caserio), gli Uèi, i Lou Dàvi, Sam Karpienia, i Casa Grinta, i Gari Grèu e i Dupain, che connettono il folk proveniente da ogni dove (anche dalla Bretagna) con sonorità più sperimentali.
Il rap/hip hop ha diversi rappresentanti, come i Doctors de Trobar, mentre il punk in occitano non è diffusissimo se non come energico collante della patchanka, anche se non mancano esempi e precedenti importanti come i Papà Gahús, l’oi! dei Gojats of Hédas, legati al movimento Libertat! E rappresentanti della classica formazione militante antifascista e radicale, lo ska-punk rivoluzionario contro “la burocrazia giacobina dello Stato centrale” dei Goulamas’K, e gli Arnapi. Legati alle rivendicazioni occitaniste ma che non fanno uso della lingua d’oc invece sono i Tados e La Bande à Kaader. Si aggiungono anche diversi gruppi metal, che però non si affermano come formazioni impegnate, fatta eccezione per i Sonoloco, e alcuni cantautori contemporanei, tra cui è doveroso segnalare Marilís Orionaa, Corne d’Aur’òc, Joan-Frances Tisnèr, Primaël e Joanda, i Trencavel, Loule Sabronde, i Parpalhon e i Familha Artús, ora conosciuti soltanto come Artús, recente gruppo progressive e sperimentale influenzato da sonorità medievaleggianti che definiscono musica radicala de Gasconha e considerati parte del movimento Rock In Opposition. Appunto finale: anche un autore “mainstream” come Francis Cabrel ha preso posizione in favore della lingua e ha inciso alcuni pezzi in occitano.
Ndr: potete leggervi il nostro articolo sul nuovo album dei Goulamas’k qui.
CATALOGNA DEL NORD
Grosso modo si tratta del territorio appartenente al dipartimento dei Pirenei Orientali, la cui comarca più conosciuta è il Rossiglione, nome con cui spesso viene identificato tutta la zona di lingua catalana. Territorio spesso dimenticato, a malapena riconosciuto (da soggetti amministrativi regionali ma non dallo Stato centrale) e soggetto come gli altri alla massiccia francesizzazione a partire dal Diciannovesimo secolo, è stato politicamente meno attivo rispetto alle altre nazionalità minorizzate dello stato. Ciò nulla toglie alla resistenza portata avanti dai gruppi legati alla Sinistra combattiva in passato: Esquerra Catalana dels Treballadors (vicini alla teoria maoista), Organització Socialista d’Alliberament Nacional e Partit Socialista d’Alliberament Nacional (marxisti); è esistito anche qui un gruppo dedito alla lotta armata, Resistència Catalana, che ha rivolto i suoi attacchi soprattutto contro gli interessi urbanistici francesi. Inoltre, negli ultimi anni si è assistito alla rinascita del movimento catalano in questa zona e a proteste che domandavano un referendum con l’obiettivo di riunificare il dipartimento al resto della Catalogna; da sottolineare che i militanti indipendentisti hanno aiutato i compatrioti nei sommovimenti avvenuti nel 2017, anche contro la repressione scaturita a seguito del voto. A ciò si aggiunge un miglioramento nella diffusione del catalano negli ultimi dieci anni, in particolare nella segnaletica e nell’insegnamento, che però tuttora riguarda una bassa percentuale della popolazione.
Dalla Catalogna rossiglionese proviene Pere Figueres, poeta e cantautore simbolo della rinascita culturale catalana ed esponente della Nova Cançó (fenomeno del cantautorato catalano anti-franchista nato alla fine degli anni ’50), tra i principali esponenti del Grup d’Acció Cultural Guillem de Cabestany collettivo di cantautori, assieme a Jordi Barre e al più umoristico e surrealista Joan Pau Giné. Un’altra importante esponente è Teresa Rebull: nata nella Catalogna “spagnola”, figlia di due anarco-sindacalisti, entrò a far parte del POUM (Partido Obrero de Unificación Marxista, organizzazione anti-franchista a grandi linee di tendenza trotskista) durante la guerra civile spagnola del 36’-39’, è costretta dalla vittoria dei fascisti all’esilio in Francia dove collabora con i partigiani e fa amicizia André Breton, Jean Malaquais, Sartre, Camus e Brassens. Attivissima pur oberata dai più disparati lavori occasionali, ha collaborato con il governo spagnolo in esilio e ha fatto parte del Casal de Catalunya, associazione di esuli catalani a Parigi. Al principio del suo primo concerto vi è la casualità: sono dei giovani a chiederle di esibirsi, dando così inizio nel 1968 a un’intensa attività musicale e culturale in difesa della lingua e della cultura catalana attaccata pesantemente dal fascismo franchista, divenendo l’Àvia de la Nova Cançó (la “nonna della nuova canzone catalana”). È scomparsa nel 2006, in Catalogna del nord, a Banyuls de la Marenda, luogo in cui si è stabilita nel 1979. Citazione necessaria è anche Serge Utgé-Royo, che ha inciso pochi pezzi in catalano (una versione di L’estaca di Lluis Llach, Une énorme boule rouge).
BRETAGNA E GALLO
Il bretone è spesso ricordato in quanto è l’unico idioma celtico ancora presente sul suolo continentale e lo stato francese, ça va sans dire, ha avuto la mano pesante con esso, come rilevato da linguisti del livello di Michel Malherbe. Le tutele sono migliorate in questi anni, certo, ma rimane a rischio di scomparsa (come appunta l’UNESCO nell’Atlante delle lingue del mondo in pericolo), assieme all’altra lingua parlata nella regione, il gallo, di matrice neolatina e meno riconosciuto. Sono utilizzate entrambe nella regione amministrativa di Bretagna, da cui è stato però escluso il Dipartimento della Loira Atlantica, questione su cui vertono alcune rivendicazioni politiche a favore della riunificazione. A fronte di questa situazione sono sorte scuole della lingua, giornali e associazioni, è stato ottenuto il bilinguismo nella toponomastica e l’insegnamento dei due idiomi nelle scuole statali.
Nell’ottenimento di questi diritti, comunque minimi, ha avuto e ha grande importanza l’attività politica rivoluzionaria di formazioni come Breizhistance (il principale movimento anticapitalista-indipendentista al giorno d’oggi), Emgann (vicino al Noveau Parti anticapitaliste), Dispac’h, Union démocratique bretonne (oggi socialdemocratico ma un tempo al suo interno erano presenti frange marxiste), il mao-guevarista Parti communiste breton, gli anarchici di Stourm Breizh, Treger Disuj e Coordination Bretagne Indépendante et libertaire, i socialisti autogestionari di Comités d’action bretons e Front socialiste autogestionnaire breton, i vicini al confederalismo democratico di Douar ha Frankiz, il sindacato Sindikad Labourerien Breizh, vari gruppi in difesa e per la diffusione della lingua e le associazioni a tutela dei prigionieri politici (Skoazell Vreizh, Coordination antirépressive de Bretagne), oltre all’importante lotta armata condotta dal Front de libération de la Bretagne e dall’Armée Révolutionnaire Bretonne. Le battaglie per la liberazione nazionale, anche se si sono sviluppate nel XIX secolo sull’onda del ritorno in auge dei nazionalismi, in particolare quello irlandese, hanno radici vecchie di secoli.
La produzione musicale di questo popolo è notevole, soprattutto nell’ambito “tradizionale” (come le Sœurs Goadec e i Frères Morvan) e nel periodo dei rinomati sixties/seventies, decenni in cui la lotta di classe nella regione è fiorita e si è legata all’indipendentismo, svecchiando il movimento bretone, precedentemente ancorato su posizioni tradizionaliste, piccolo-borghesi e persino fasciste. Necessario specificare la presenza di importanti eccezioni, come piccoli gruppi e minoranze di alcune centinaia di persone interne ai movimenti nazionalisti e regionalisti, come i membri del Groupe régionaliste breton che passarono dal conservatorismo all’internazionalismo col passare del tempo, il Parti national révolutionnaire breton, Sao Breiz, Strollad Emrenerien Vreiz, Ligue fédéraliste de Bretagne, i partigiani di Bleiz Mor e del Groupe Liberté de Saint-Nazaire, e importanti individualità come il presbitero progressista e partigiano Abbé Pierre, il pensatore Yann Sohier, internazionalista, antifascista e socialista oltre che strenuo difensore del diritto di autodeterminazione di tutti i popoli e fondatore della rivista Ar Falz, La Falce, nome non certo casuale, e altri come Charles Brunellière, Maurice Duhamel, Francis Gourvil, Youenn Souffes-Després, Jean Le Maho e l’anarchico-socialista Émile Masson.
È in questi anni che le avanguardie socialiste del territorio prendono coscienza del fenomeno di colonizzazione e sistematica distruzione della lingua e della cultura a cui sono stati sottoposti i loro compatrioti, dando il la a decine i gruppi di musica celtica o che si richiamano in parte a essa, cui si affiancano solisti e band di ogni genere, talvolta limitati alle feste popolari chiamate Fest-noz ma anche di successo internazionale, come nel caso di Alan Stivell. Questi è uno dei musicisti più rappresentativi della scena bretone, che a partire dagli anni Settanta ha rinnovato la musica della regione grazie alle sue sperimentazioni con l’arpa e altri strumenti e facendo uso della sua lingua madre, che non gli ha impedito di ottenere successo e riconoscimento mondiale. Schierato a Sinistra, si è fatto portavoce di diverse istanze, in primis quelle del popolo bretone (e del pan-celtismo in generale), ma anche internazionaliste, egualitarie ed ecologiste e tra i suoi lavori più importanti figura Before landing, concept-album del 1977 sulla storia bretone che funge da appello alla “liberazione nazionale contro una storia falsificata dalla borghesia”. Negli anni Settanta era apertamente a favore della costruzione della società comunista, mentre in tempi successivi invece la sua militanza si è purtroppo annacquata in una sorta di autonomismo socialdemocratico e “umanitario”; inoltre, pur avendo dedicato un pezzo a Bobby Sands, si è trasformato in supporter di un pacifismo utopico e decisamente poco materialista, e il suo anticapitalismo è diventato altrettanto poco attento alla realtà oggettiva delle cose per inseguire vacue tendenze sullo stile della decrescita felice. Detto questo, è doveroso ricordare che è stato il più importante musicista a fungere da megafono alla lotta delle “civiltà altre” negate dai “demoni del nazionalismo francese”, come egli stesso affermava decenni fa prima di scadere nella moda new age.
Dagli anni Settanta in Bretagna è venuto a formarsi un sottobosco di autori della chanson bretonne straordinario, che faceva riferimento alle lotte, alla vita delle classi popolari e a temi più intimisti. La maggior parte si è unita intorno al Manifeste de Plessala des chanteurs bretons del 1972, in cui una cinquantina di artisti si è posta “al servizio del popolo” e ha contribuito a rilanciare e a rinnovare le energie e la cultura popolare della nazione, non soltanto con la produzione di materiale teorico ma anche con la successiva nascita di cooperative di musicisti, con l’obiettivo dichiarato di liberare “politicamente, economicamente, socialmente e culturalmente il popolo bretone” (in molti poi parteciperanno a Skoazell Vreizh, LP del 1976 in sostegno alle famiglie dei militanti incarcerati). Di questi diversi utilizzavano il francese, pur cogliendo a piene mani dalla tradizione musicale del territorio, come Serge Kerguiduff, il basco d’origine Gérard Ducos, il “bardo al femminile” Maripol o Annkrist, cantautrice le cui canzoni pescavano molto dal blues (ha dato la voce a pezzi come all’orwelliana Prison 101 e 27 rue Kernadeis, sulle condizioni miserevoli di un’operaia).
Nello stesso periodo ha cominciato la sua attività Gilles Servat, che nel 1971 ha pubblicato un disco simbolo della militanza indipendentista e socialista (era attivo nell’Union Démocratique Bretonne, nel cui nome si è candidato a Nantes nel 1982), La Blanche Hermine, il cui pezzo omonimo è un autentico canto di battaglia che incita alla riscossa e all’unità dei lavoratori bretoni contro l’imperialismo francese, un pezzo che recentemente ha paradossalmente subito un tentativo di appropriazione da parte del Front National. Altre canzoni importanti sono Gwerz Victor C’hara (Ballata per Victor Jara), Les prolétaires, Classes, Daou dewezh eus Maria Otaegui (contro il franchismo), Trugarekadenn, Ki Du, Le Pays Basque.
Altro poeta, chitarrista e cantautore militante è Evgen Kirjuhel, che ha inciso canzoni folk (spesso legate a esecuzioni teatrali e con ispirazioni blues, jazz e flamenco) sul ’68 parigino (Ah, le joli mois de Mai à Paris!), sul lavoratore e militante maoista Pierre Overney assassinato da una guardia di sicurezza (Chant Funèbre A La Mémoire De Pierre Overney) e miriadi d’altre legate a scioperi, manifestazioni, lotte operaie e artisti scomodi. In assenza di case discografiche interessate alla pubblicazione dei suoi lavori, ha fondato nel 1972 un collettivo chiamato Droug, attraverso cui ha distribuito il suo primo 33 giri in modo indipendente. Pur non essendo d’origine bretone, fu convinto da Glenmor a sposare la causa di questo popolo celtico e ha assunto posizioni contro il sessismo e bigottismo patriarcale che permeava la società bretone dell’epoca (argomento toccato nel pezzo Les Mâles).
I Tri Yann, anch’essi attivi dagli anni Settanta (e sciolti ufficialmente quest’anno) e noti gauchistes, sono stati scoperti da Servat, che ha contribuito allo sviluppo del loro folk rock e a renderli tra i più importanti complessi bretoni. Hanno inciso diversi pezzi che si rifanno a canti di lotta vecchi di secoli e negli anni Ottanta si sono schierati con le intense mobilitazioni popolari ecologiste e contro la costruzione di una centrale nucleare a Plogoff sur la Pointe-du-Raz, fatti cui si fa riferimento nell’album An Heol A Zo Glaz; l’album Suite gallaise invece è in gallo. Negli anni Novanta è stata attiva una formazione di rock fusion con alcuni componenti dei Tri Yann, i Kad.
Dello stesso stampo militante è Gweltaz Ar Fur, cantautore che ha preso coscienza della sua identità nazionale a quattordici anni e negli anni Settanta ha utilizzato la sua voce e la sua chitarra acustica come mezzo di denuncia e come sostegno agli scioperi e ai prigionieri del Front de libération de la Bretagne. Prima di diventare libraio, ha partecipato alla fondazione delle scuole Diwan nel 1977 (dove vige il bilinguismo bretone-francese, tuttora attive) e ha pubblicato tre album (l’ultimo nel 2010), collaborando con tutti i più importanti artisti della rinascita culturale bretone e con complessi come i Diaouled Ar Menez.
Un altro dei più importanti animatori della cultura bretone, in attività dagli anni Cinquanta e scomparso a fine millennio, è Glenmor, pseudonimo di Émile Le Scanve (o Milig ar Skañv). Vero guru della commistione tra arte e indipendentismo militante, poeta, attore di teatro, scrittore e compositore di origini contadine, ha subito sin dall’infanzia umiliazioni e castighi perché parlava nella sua lingua madre a scuola. Inizialmente ha cercato di impegnarsi nel teatro militante ma ha poi dirottato il suo impegno artistico nella musica, scrivendo importanti canti di battaglia come Kan bale an ARB (inno dell’Armée révolutionnaire bretonne), che ha sostenuto attivamente, per esempio partecipando allo sciopero della fame in richiesta della scarcerazione di alcuni prigionieri politici rei di aver compiuto un attentato ai danni della reggia di Versailles.
Particolare è il caso di un suo amico e collaboratore, Youenn Gwernig, che si è spostato alla fine degli anni Cinquanta negli Stati Uniti, diventandone cittadino. Amico di Jack Kerouac, creerà un folk che amalgama cultura pop americana, beat generation e tradizione celtica della madrepatria, in cui tornerà il decennio successivo. Durante la sua permanenza a New York scriverà numerose poesie in bretone spesso dedicate alla “grande tribù” dei dannati e discriminati (su richiesta di Kerouac adotterà un sistema trilingue, aggiungendo anche versioni dello stesso testo in inglese e francese), mentre per il primo lavoro discografico si è dovuto attendere il 1971, contenente l’iconica Les derniers bougnoules, in cui la condizione del popolo bretone è associata a quella delle altre popolazioni discriminate sul suolo francese (il termine bougnole è un appellativo sprezzante utilizzato per definire arabi, neri e romaní) e con un finale indicativo: “‘lec’h mont d’an Amerik/aet on gant ‘n F.L.B.! – piuttosto che l’America/mi sono unito al F.L.B. – Front de libération de la Bretagne”.
La schiera di musicisti proveniente da questo periodo si estende molto al di là dei già citati. Altri sono l’antimilitarista “sessantottino” Gérard Delahaye (oltre che membro della band di reduci bretoni della beat generation Trio EDF e fondatore della cooperativa popolare-etichetta discografica Névénoé), Manu Lann Huel, Jef Philippe, Melaine Favennec, Yann-Fañch Kemener, Andrea Ar Gouilh, Erik Marchand, i bizzarri Gwendal, il cantastorie e violinista Patrick Ewen, l’ensemble vocale degli Ar Breizerien, Kristen Noguès, Claude Besson, i Sonerien Du e il pacifista Maxime Piolot.
Gli Storlok invece sono conosciuti come il “primo gruppo rock bretone”. Attivi soltanto per pochi anni, dal 1976 al 1980, hanno comunque avuto il tempo di registrare un 45 giri e un LP. Entrambi contengono Gwerz maro Jorj Jackson, La ballata di George Jackson, dedicata al celebre militante del Black Panther Party assassinato in carcere da un secondino e autore degli straordinari scritti contenuti in Col sangue agli occhi e I fratelli di Soledad. Nell’album Stok ha stok è inserita Keleier Plogoff, dedicata alla battaglia contro la costruzione di una centrale nucleare. Del gruppo hanno continuato l’attività di musicisti Denez Abernot (importante figura anche nelle scuole Diwan) e Bernez Tangi.
I più conosciuti della scena contemporanea sono i Les Ramoneurs de Menhirs, esponenti del celtic punk anarchico e che annovera anche degli ex Bérurier Noir, oltre a essere noti per aver collaborato con l’importante esponente della chanson bretonne Louise Ebrel e per l’incisione di personali versioni di pezzi come Bella ciao (Bell’Arb), La Blanche Hermine, Viva la revolution (degli Adicts) e La Makhnovtchina. Altri impegnati nel versante del punk sono i Tri Bleiz Die, che hanno portato avanti un’attività discontinua dagli anni Novanta, i Trouz An Noz, nati nel 2007 e che condividono la stessa carica militante dei Ramoneurs anche se meno celtic e con elementi elettronici (mantengono comunque un violino in formazione) e utilizzano anche il gallo, i Digresk sulla stessa onda militante e celtic-punk, i BogZH Celtic Cats, che aggiungono alla formula influenze irlandesi e rock‘n’roll. Altri esempi attivi negli ultimi decenni sono il crossover militante di rap e rock dei Rhapsoldya, il celtic rock di Daonet, EV e Soldat Louis, il progressive di Brieg Guerveno, lo ska-dub-rock di Fiskal Bazar, la patchanka che unisce ritmiche gitane, celtiche e algerine dei Collectif Jeu à la Nantaise, la cantante e compositrice Nolwenn Korbell, il cantautore rock acustico Dom Duff, i Taÿfa che uniscono la tradizione musicale celtico-bretone in un curioso mélange con quella berbera e arabo-andalusa e testi sui popoli in rivolta e la miseria.
Inoltre, esiste un interessante esperimento portato avanti da musicisti bretoni (dei Red Cardell) e scozzesi uniti in un unico complesso chiamato The Celtic Social Club, conosciuto per aver inciso un pezzo dedicato a Joe Strummer dei Clash e che porta avanti un mélange di canzoni tradizionali celtiche rivisitate, rock, blues, folk, reggae, hip hop e kan ha diskan, un genere bretone caratterizzato dal cantato botta e risposta (esemplare è l’EP Kan ha Diskan, in cui è più volte citato il Front de libération de la Bretagne, di Lama Meur e Yann Ber, ed è dedicato al successo dello sciopero del Joint Français, datato 1972 e sostenuto da musicisti come Tri Yann, Servat e l’occitano Claude Nougaro). I Québreizh invece si occupavano di un’improbabile ma efficace comunione intercontinentale di musica folk bretone e quebecchese e nel 1978 hanno pubblicato l’omonimo album contenente diverse canzoni combattive nella lingua celtica. Immancabili i Renésens, che eseguono il créoloceltique, (o più correttamente Musik Kréoloceltik), commistione tra sonorità e strumentazioni bretoni e creole della Riunione, isola ancora oggi assoggettata alla Francia e situata nei pressi del Madagascar e di Maurizio, infarcite di testi di denuncia su questioni come l’antirazzismo, l’ambiente, i divieti riguardanti le lingue minorizzate e schiacciate dalle istituzioni scolastiche dello Stato francese (come per l’appunto il bretone e il creolo riunionese) e la deportazione dei chagossiani dalle loro isole da parte dei britannici per far spazio alle basi militari statunitensi. Molti altri sono gli esempi di impegno politico oltre che musicale nell’isola (Kiltir, Ousanousava, Ziskakan, Baster, Kom Zot, Danyèl Waro che ha fatto parte del Parti communiste réunionnais) ma per questioni di spazio è necessario rinunciare a parlarne in sede.
Ndr: Les Ramoneurs de Menhirs sono citati in un articolo sulla Bretagna uscito tempo fa sulle nostre pagine, se volete recuperarlo, eccolo qui.
PAESI BASCHI DEL NORD/IPARRALDE
Anche l’esiguo Iparralde (all’incirca tremila chilometri quadrati), territorio basco francese, ha una storia indipendentista e rivoluzionaria degna di nota. Costituito da tre province (Lapurdi, Zuberoa, Behe-Nafarroa) poste nella regione dei Pirenei Atlantici, è abitato da oltre trecentomila persone, ma soltanto poche decine di migliaia parlano l’euskara a seguito della lunga repressione posta in atto dallo Stato francese. Ciò non toglie che ci sono diversi media che fanno uso della lingua, come riviste, programmi televisivi e radiofonici.
I riferimenti della Sinistra rivoluzionaria abertzale sono stati diversi (partiti, sindacati, collettivi, giovanili), gruppi come Enbata (il primo in Iparralde), Abertzaleen Batasuna, Langile Abertzaleen Batzordeak, Iparra Borrokan, Euskal Batasuna, Oldartzen, Segi (“democraticamente” bandito con l’accusa di supporto al “terrorismo”), Ezkerreko Mugimendu Abertzalea, Herriaren Alde, Patxa (di tendenza anarchica e legato agli squat degli anni Novanta presenti nella regione), Herritarren Zerrenda, Herriko Alderdi Sozialista (che ha dato vita unendosi all’Eusko Alderdi Sozialista della zona “spagnola” all’Euskal Herriko Alderdi Sozialista, presente in entrambi gli Stati), e i gruppi armati, attivi anche negli ultimi vent’anni, come Euskal Zuzentasuna, Iparretarrak (mai ufficialmente disciolti), Iparra Borrokan, Irrintzi (attivissimi contro le speculazioni immobiliari) e Hordago (oltre ovviamente al più celebre Euskadi Ta Askatasuna). Oltre alla lotta di classe e all’indipendentismo, si fanno spesso promotori di altre istanze legate al femminismo e all’ecologismo.
Qui la musica ha avuto forti collegamenti non soltanto con il territorio locale, ma anche con i Paesi Baschi assoggettati alla Spagna e, a riprova di ciò, quest’area ha accolto numerosi compatrioti rifugiati politici provenienti da sud e diversi pezzi incisi nell’Iparralde si sono diffusi anche a meridione, dove a causa del regime franchista era più pericoloso e difficile diffondere canzoni militanti. Mentre il padre della “nuova canzone basca”, Michel Labéguerie, era di tendenze cristiano-democratiche (ma pur sempre militante abertzale), la maggior parte delle formazioni era combattiva e di Sinistra. Uno di questi gruppi innovatori, gli Soroak laukoa, nati nel 1958, furono tra i principali innovatori della musica locale, introducendo l’uso della chitarra ed elementi di “black music”, e per questo hanno subito attacchi dalla stampa che li definì eretici.
Il duo folk Etxamendi eta Larralde invece a partire dagli anni Sessanta ha fatto scuola presso gli artisti engagé della regione e alcune delle loro canzoni sono state riprese dalla Banda Bassotti. Una di queste è Yup! la la, diventata celebre anche in Spagna e dedicata all’Operación Ogro dell’ETA, che ha posto fine alle malefatte del fascista Carrero Blanco e ripresa in Así es mi vida del gruppo romano. Altro importantissimo duo indipendentista nato nella stessa decade sono i Pantxoa eta Peio, sciolti definitivamente nel 2016, e autori di celebri canzoni rivoluzionarie (alcune delle quali scritte dal dirigente e teorico indipendentista Telesforo Monzón) come Batasuna, Aita kartzelan duzu e Itziarren semea dedicate ai prigionieri, Lepoan hartu ta segi aurrera e Kanta aberria. Per ultimi, nell’ambito folk del decennio, non per importanza, la cantautrice Estitxu (figlia del rifugiato e fondatore del sindacato Eusko Langileen Alkartasuna, Manuel Robles Aranguiz, e ovviamente censurata nella Spagna franchista) e in particolare i Guk, che tra il 1968 e il 1998 hanno narrato le istanze contadine e operaie dei baschi del nord (sono stati accusati di essere propagandisti dei gruppi armati, in particolare per il brano, coverizzato poi dai corsi Arcusgi, Arrantzale maitagarri, dedicato a Didier Lafitte, pescatore e membro di Iparretarrak assassinato dalla polizia) e il cantautore Manex Pagola, attivo anche in gruppi e partiti come Enbata e membro onorario dell’accademia basca.
Di grande importanza è stato il movimento culturale avanguardista Ez Dok Amairu, interno al fenomeno dell’Euskal Kantagintza Berria (Nuova canzone basca), esistito tra il 1966 e il 1972, che si occupò di riappropriarsi della cultura basca e del suo rinnovamento (il nome, suggerito dal poeta Jorge Oteiza, infatti deriva da un racconto popolare e significa “che è cessata la maledizione”, volendo significare che è terminata la maledizione che attanagliava la cultura basca), non soltanto nell’ambito musicale, ponendosi in un’ottica simile al Manifiesto Canción del Sur dell’Andalusia e al collettivo catalano Els Setze Jutges. Ne fecero parte musicisti anche da parte “francese”, come Eñaut Etxamendi (cantante ma anche linguista, agricoltore, professore, scrittore e militante di Enbata).
Nel 1973 nel Lapurdi è nato il primo gruppo rock (nello specifico, “progressivo”), gli Errobi, ma nel giro di alcuni anni hanno rinunciato all’impegno degli esordi (embrione dell’attività successiva dell’interessante Anje Duhalde) mentre il primo “rocker vecchia scuola” è Niko Etxart, che pur non trattando tematiche esplicitamente politiche nelle sue canzoni si è dovuto scontrare con le entità più conservatrici interne alla galassia basca (in particolare il clero) a causa del genere musicale di cui si è fatto portavoce (Euskal rock’n roll, come un suo pezzo omonimo) e dal suo stile (chitarra elettrica, giacca di pelle, capelli lunghi, jeans) e ha partecipato a benefit contro il nucleare e a un album in favore dei prigionieri politici baschi (assieme ad altre “celebrities” dell’Iparralde come il cantante-pastore-contadino Erramun Martikorena). Nota di merito anche per il complesso folk degli Altzükütarrak.
Successivamente negli anni Novanta si sono fatti avanti i Xalbador eta Ihidoi, duo considerato l’erede di Etxamendi eta Larralde, e i Sustraia, gruppo rock che amalgama ska, punk e all’occasione folk basco: hanno registrato un live con gli occitani Lou Dalfin e accompagnato in tour gli Ska-P, prima di sciogliersi nel 2009. Per quanto riguarda il punk militante nel 2016 sono nati i Gadafiste Brothers & Sisters, influenzati dai Bérurier Noir (hanno inciso anche una cover di Canto a Camilo, dedicato al prete guerrigliero Camillo Torres), mentre negli anni Novanta hanno imperversato i Beltzez con il loro hardcore punk tipico delle band di orientamento anarchico e, più festaioli ma non certo disimpegnati, gli Skunk, fautori di una macedonia che incorpora al punk il reggae, il jazz, raï, l’hip hop e lo ska (all’attivo anche una collaborazione con il celebre musicista giamaicano-cubano Laurel Aitken). Citazione necessaria perché estremamente legati alla cultura locale anche gli Aggressive Agricultor, punk e thrash metal, che purtroppo usano la loro lingua soltanto “sous l’emprise de l’alcool” (“sotto l’effetto dell’alcool”) e i Killers, importante gruppo speed metal in tutto lo Stato francese.
Anche altri generi più inusuali hanno i loro precedenti: rispettivamente dal 2010 e dal 2003 sono in attività i rapper 2zio e i M.A.K. (Musika Armatu Komando) e dal 2008 gli Xutik!, che incorporano sonorità rock con influenze ska, gypsy e folk. Tra il 1994 e il 1998 sono esistiti anche i King Mafundi, autori di musica reggae con un cantato oltre che in basco anche in mandinka e wolof e con componenti originari dalla Repubblica Centrafricana, dal Senegal e dalla Guadalupa. Hanno collaborato anche con il guru della musica militante degli Euskadi (ex Kortatu e Negu Gorriak), Fermin Muguruza; infatti, il primo album è uscito per la sua etichetta, Esan Ozenki. I temi trattati nelle canzoni: Malcolm X, l’antirazzismo, l’Apartheid, l’oppressione coloniale, le discriminazioni (comprese quelle che gli membri della band hanno subito a opera di polizia e reazionari), il Che Guevara. Concettualmente simili sono gli MIX6T, che in attività dal 2002 mescolano funk, reggae e hip hop e affrontano tematiche di stampo sociale, i diritti dei popoli oppressi e l’antirazzismo, e altri due complessi reggae, gli Xiberoots (che nel 2019 hanno partecipato alle contestazioni verso il G7 nella provincia di Lapurdi) e i Root’System. I Zezenaren Taldea invece suonano Punk boltxebikoa (“punk bolscevico”), a cui sono unite sonorità gitane alla Goran Bregović. Un’ultima curiosità: Peio Serbielle, cantante piuttosto innocuo per quanto riguarda i temi trattati, è stato arrestato e incarcerato nel 2004 con l’accusa di far parte di Euskadi Ta Askatasuna, vicenda che ha suscitato lo sdegno di numerosi musicisti e intellettuali come il popolare Renaud.
CORSICA
Anche la storia della Corsica è cosparsa di momenti di tensione e rapporti assai duri tra lo stato centrale e l’isola caratterizzati da politiche di sfruttamento, colonialismo e discriminazione. Anche se la lotta si è sviluppata soprattutto tra gli anni Sessanta e Settanta le rivendicazioni storicamente progressiste e/o conflittuali si sono sviluppate a più riprese: il movimento ereticale dei Ghjuvannali (che rifiutavano la proprietà privata e furono sterminati da papa Urbano V dopo una breve resistenza armata tra il 1363 e il 1364), la Repubblica Corsa del 1755 guidata dal rivoluzionario Pasquale de’ Paoli (la prima ad adottare una Costituzione retta da principi illuministici e a comprendere il suffragio femminile, tanto che diede ispirazione ai rivoluzionari statunitense nella stesura della Costituzione del 1787), le pulsioni antimilitariste sorte durante la Prima Guerra Mondiale (i corsi erano mandati al macello senza ritegno dalle gerarchie francesi tanto che l’isola subì un grave tracollo demografico e fu il territorio della Francia a subire la più alta percentuale di perdite rispetto alla popolazione totale), la resistenza all’occupazione fascista durante la Seconda Guerra Mondiale e nella seconda metà del Novecento le lotte contro i coloni (spesso esuli dall’Algeria legati a gruppi paramilitari e terroristici di destra come l’OAS, dediti allo sfruttamento della manodopera a basso costo costituita da migranti provenienti dal nord Africa e causa di diffusi fenomeni di corruzione all’interno delle amministrazioni e del fisco) cui vennero affidate gran parte delle terre isolane, che da quel momento subiranno speculazioni turistiche e la devastazione ambientale (lotte represse da decenni tramite la militarizzazione dell’isola, che ha comportato la perenne, asfissiante e massiccia presenza della polizia e delle sue violenze in ogni manifestazione di rilievo, come le occupazioni delle terre degli speculatori).
Gruppi e partiti di Sinistra sono e sono stati numerosi, più o meno simpatizzanti della lotta armata, ammorbati da esasperanti divisioni interne, spesso legati alle lotte contro le speculazioni edilizie e turistiche, la devastazione delle coste, la militarizzazione dell’isola e a favore di rivendicazioni culturali (per esempio, tra i predecessori, dove già si trovavano diversi elementi comunisti e gauchistes, troviamo il Mouvement du 29 novembre, Front Régionaliste Corse, Azzione per a rinascita di a Corsica, l’Action régionaliste corse, seguiti dalle più recenti Corsica Libera, A Manca, Partitu Corsu per u Socialismu, Action pour la renaissance de la Corse, A Cuncolta Naziunalista, Corsica Nazione, Mouvement pour l’autodetermination, Core in Fronte, Accolta naziunale corsa, Rinnovu, Corsica nazione indipendente, Partitu sucialistu per l’indipendenza).
Per quanto riguarda i sindacati, come Sindicatu di i travagliadori corsi, incrociano la lotta di classe con la lotta per il riconoscimento nazionale dell’isola e l’ufficializzazione della lingua; sono presenti anche diverse organizzazioni giovanili come Ghjuventù Indipendentista, Ghjuventù Paolina, Ghjuventù Naziunalista, Cunsulta di a Ghjuventù Corsa e la Cunsulta di i Studienti Corsi. La pluridecennale lotta armata è stata condotta principalmente dal Fronte di liberazione naziunale corsu (FLNC) e dalle sue innumerevoli scissioni (il gruppo più recente, nato quest’anno, è F.L.N.C. Maghju 21), talvolta in contrasto e in conflitto aperto fra loro. Inoltre, l’isola è stata spesso sede di incontro per movimenti internazionali indipendentisti, come le Giornate internazionali di Corte che hanno visto la partecipazione di rappresentati anche da territori extraeuropei come Polinesia e Nuova Caledonia. A inquinare questa tradizione militante di Sinistra e internazionalista sono intervenuti gruppi militanti xenofobi all’inizio degli anni duemila, ovvero Resistenza Corsa e Clandestini Corsi, costretti allo scioglimento dall’FLNC pena l’eliminazione fisica. Per contrastare l’organizzazione, al solito, verranno impiegati gruppi paramilitari come FRANCIA per avviare l’ennesima guerra sporca, dettata dall’infame formula degna degli occupanti nazisti di “terrorizzare i terroristi”.
La scena musicale dell’isola è stilisticamente più omogenea rispetto a quella delle altre nazionalità oppresse dall’imperialismo francese e i gruppi sono quasi tutti ascrivibili alla coristica polifonica corsa, elemento centrale delle rivendicazioni culturali isolane e genere molto popolare, che vanta anche una strumentazione particolare, come la caramusa e la pifana. Brano di raccordo tra i vari complessi è Dio vi salvi Regina, in origine pezzo religioso ma divenuto de facto inno nazionale, e in genere le posizioni di questi gruppi, per quanto diverse, sono fortemente schierate sull’antimperialismo e sull’internazionalismo con gli altri popoli in cerca dell’autodeterminazione, non limitandosi dunque a una mera rinascita folkloristica.
Questi cori polifonici hanno subito una importante rinascita negli anni Settanta, accompagnata dal fenomeno di riappropriazione culturale chiamato Riacquistu, e hanno accompagnato la crescita e l’esasperazione del conflitto armato e sindacale. Esponenti celebri e prolifici nati in questo decennio sono i Chjami Aghjalesi, tra i più esplicitamente socialisti, il cui nome richiama la trebbiatura del grano (ripresa anche sulla copertina del primo disco, Nant’à u solcu di a Storia; da ricordare pezzi come E prigione francese, l’antimilitarista Le Chemin des Dames, U partigianu, sull’aria della Makhnovtchina e Populu Vivu); Diana di l’Alba, autori di una personale versione di Hasta Siempre, il celebre pezzo di Carlos Puebla dedicato al comandante Che Guevara e di altri brani significativi come A nostra indiatura e Ameridianu, dedicato alle Firsts Nations americane (volgarmente dette “pellerossa”); Canta U Populu Corsu, tra i più popolari ancora oggi, che inizialmente si dedicavano ai rifacimenti di canti tradizionali pescati dalla tradizione (come le paghjelle e lamenti) e poi sono passati all’incisione di pezzi propri in favore della rivolta anti-coloniale, dell’antifascismo, della scarcerazione dei prigionieri politici e della fratellanza con i popoli in lotta come i baschi, gli irlandesi e i berberi (a tal proposito hanno dedicato l’album Rinvivisce al cantautore impegnato cabilo Lounès Matoub assassinato nel 1998).
A partire dagli anni Ottanta si sono fatti strada anche nuovi complessi, come L’Arcusgi, “archibugi” (nome scelto per richiamare i fucili in dotazione degli indipendentisti di Pasquale Paoli), nati come gruppo “politico-culturale” e anch’essi molto legati al sostegno delle altre minoranze in lotta, soprattutto i baschi, e celebri per pezzi come Resistenza, Askatasunera, Lotta Ghjuventù, So Elli, Revoluzione, Scrittori di a Storia; i Surghjenti, nati nel 1978 come associazione culturale sull’onda dell’influenza di una generazione vissuta all’ombra degli sviluppi politici degli anni Sessanta e della guerra per l’indipendenza d’Algeria, pezzi da ricordare sono Vinceremu, A me patria, Pa te Chile, A lutta populari, I cumbattanti d’onori; i più edulcorati Muvrini, autori di canzoni di stampo pacifista e antirazzista e conosciuti per aver collaborato con il cantautore catalano Lluís Llach; A Filetta, in particolare per pezzi come l’antifascista Liberata, L’orrida bestia, A paghjella di l’impiccati, Sta mane qui, Euskadi; i Tavagna, autori tra le altre cose di un Cantu per Nelson Mandela; L’Albinu, che hanno inciso album militanti come Suminata He A Grana Di L’Avvene, Omàggi e Versu Tè; gli Svegliu d’isula; Alte Voce; L’Abbrivu; A Primavera, che hanno eseguito dal vivo El pueblo unido con lo storico gruppo cileno Quilapayún in una versione bilingue corso-spagnolo; Orizonte, anch’essi vantano un pezzo dedicato al Che in attivo, Evviva Che Guevara; Giramondu; Voce Ventu; Voci di a Gravona; I Messaggeri; Esse; I Mantini; Les Nouvelles Polyphonies corses; U Gruppu Scontru, presenza fissa nelle raccolte fondi per i prigionieri politici corsi e baschi; Cuscenza; A Pasqualina; L’Alma Viva; Altagna.
Da questi gruppi sono fuoriusciti importanti artisti che si sono dati alla carriera solista e altri più recenti che ne hanno subito l’influenza, come Petru Guelfucci, Charles Marcellesi, Antoine Ciosi (da ricordare in particolare gli album Corsica Sempre Corsa e Canti Di A Libertà, che contiene Bandiera Rossa e Si tu passes par là, dedicata a Dominique Vincetti, partigiano comunista) e le cantanti unite precedentemente in un unico progetto chiamato E Duie Patrizie, Patrizia Poli e Patrizia Gattaceca (indagata per aver aiutato il militante indipendentista Yvan Colonna alla fuga). Si ribadisce una scarsa presenza nei generi più “contemporanei” che si rifà a qualche complesso rock non impegnato come gli Zia Devota, ma non mancano neppure esempi come il progressive rock degli U Rialzu, il rock dei Novi e di L’Altru Latu, l’hardcore punk dei Vindetta (che hanno realizzato un brano, Corsica Anarchy, ispirato da Anarchy in the U.K. dei Sex Pistols), e il rap di L’Insulaire. Persino musicisti mainstream dell’isola come la mezzo soprano Battista Acquaviva si distinguono per la pubblicazione di album contraddistinti da una certa predisposizione alla lotta, come Les Chants de Liberté, in cui vengono interpretate canzoni in nove diverse lingue e tra queste si possono trovare Bella ciao, Txoria Txori di Mikel Laboa, Here’s to you di Joan Baez e Hasta siempre.
LINGUE ALLOGENE E MIGRANTI
Interessante anche il panorama legato alle minoranze linguistiche tra le comunità migranti. Per cogliere tutti i fenomeni musicali legati a queste comunità è necessaria un’opera monumentale, pertanto è necessario limitarsi a rapidi cenni. È necessario però rilevare come diverse band sopracitate siano in diversi casi composte da “migranti”, spesso provenienti da territori precedentemente assoggettati alle politiche coloniali e, cosa davvero interessante, diversi musicisti fanno uso di lingue costrette a essere “minorizzate” e parlate in territori al di fuori della Francia continentale, in particolare il berbero o alcune varietà del creolo.
Esempio lampante è Slimane Azem, celebre musicista e cantante cabilo, conosciuto per un famoso pezzo contro il colonialismo francese chiamato Effeɣ ay ajrad tamurt iw, in cui i colonialisti vengono paragonati alle cavallette devastatrici e che gli è valsa la sgradita attenzione dello Stato francese. Fu costretto a riparare in Francia nel 1962 e divenne un simbolo delle rivendicazioni berbere; infatti, le sue canzoni furono proibite dalle leggi promuoventi l’arabizzazione e dalle politiche di Boumédiène, che sosteneva però i movimenti di liberazione in altri paesi.
Dello stesso stampo è Ferhat Mehenni, scrittore, cantante e fondatore e primo presidente del Mouvement pour l’autodétermination de la Kabylie, organizzazione che si batte contro il regimo algerino e per il riconoscimento e i diritti della popolazione berbera della Cabilia. Questo strenuo attivista, contro cui lo Stato algerino ha emesso un mandato d’arresto internazionale il 26 agosto 2021 (come se le continue persecuzioni, ventuno mesi di carcere, l’assassinio da parte degli islamisti radicali scampato per un soffio e l’esilio non fossero sufficienti), ha nel tempo sfoggiato un repertorio di pezzi internazionali come Le Déserteur di Boris Vian e versioni di Bella Ciao e L’Internazionale tradotte in cabilo, oltre a più di mezza dozzina di album pubblicati nonostante la censura.
Lounès Matoub, vissuto a lungo in esilio in Francia, ha subito una sorte peggiore. Cantautore, poeta, militante cabilo, ateo e per l’estensione dei diritti democratici, dopo il suo ritorno in Algeria è stato gravemente ferito da un poliziotto algerino nel 1988, rapito dai reazionari islamisti nel 1994 per quindici giorni e assassinato il 25 giugno del 1998 da un commando armato, omicidio che ha provocato sommosse e scontri in Cabilia. Influenzato dalle diverse rivolte che si sono succedute negli anni nella terra natia, ha scritto canzoni molto più dirette e meno metaforiche rispetto a molti suoi colleghi, non lesinando di citare nomi e cognomi e di attaccare il governo (che accusava di aver tradito i combattenti per l’indipendenza) sin dall’inizio della sua carriera.
Idir, scomparso nel 2020, è uno dei più celebri rappresentanti della cultura berbera nel mondo ed è conosciuto come il “re della musica Amazigh” e della poesia contestataria cabila. Strenuo difensore dei diritti dei popoli berberi, si è trasferito in Francia nel 1975, dove comincia la sua carriera di musicista (precedentemente sarebbe dovuto divenire un geologo), continuando a rivendicare con forza la sua reale appartenenza nazionale e osteggiando le politiche di arabizzazione forzata nei confronti del suo popolo, che ha supportato attivamente a più riprese, in particolare nelle diverse rivolte anti-governative che si sono succedute negli anni in Cabilia. Nota interessante è che ha collaborato con diversi musicisti bretoni, come Stivell, Dan Ar Braz e Servat, oltre che con Manu Chao e gli Zebda.
Un altro esempio è la cantante, chitarrista e attrice Fatoumata Diawara: nata da genitori maliani in Costa d’Avorio, è stata costretta a riparare in Francia per evitare di essere obbligata a sposarsi. La principale lingua utilizzata nelle sue canzoni è il bambara, uno degli idiomi più diffusi nell’Africa Occidentale, con cui narra l’emigrazione, le lotte delle donne africane, l’orrore dell’infibulazione e del fanatismo religioso e si schierata contro il razzismo che si è scatenato nei confronti dei Tuareg quando questi hanno tentato di ottenere l’indipendenza (costituendo uno Stato di breve durata nel nord del Mali, l’Azawad, nel 2012).
Altri sono il “Leonard Cohen africain” Geoffrey Oryema (scomparso nel 2018) che utilizzava anche il lingala e l’acholi; Dahmane El Harrachi, uno dei più famosi compositori chaabi (musica tradizionale algerina) che ha trattato delle sofferenze causate dalla migrazione forzata; gli Gnawa Diffusion, che presentano canzoni in arabo, francese e inglese e un sound derivato dalla musica gnawa, dal chaâbi, dal raï, dal reggae, dal rap, dall’electro e dal punk; i Dhoad gitans du Rajasthan, originari dell’omonimo Stato dell’India, suonano musica tradizionale e hanno avuto diversi contatti con I Muvrini e Canta U Populu Corsu; Watcha Clan da Marsiglia, che presentano un mix tra reggae, dub, elettronica e jungle e testi in arabo, ebraico, spagnolo, yiddish, tamashek, inglese e francese e hanno realizzato anche una loro versione dell’antifranchista El Quinto Regimiento.
Nell’ambito punk si devono citare gli Outrage che invece hanno utilizzato svariate lingue, tra cui lo yiddish, il rumeno, il serbo, il russo, l’inglese, lo spagnolo, il tedesco e l’italiano; infatti, si definiscono “europunk”. I Les Caméléons, invece, sono considerati i “fratellini” dei Negu Gorriak, dei Wampas e dei Mano Negra e hanno inciso numerose canzoni in spagnolo e alcune dedicate ai Paesi Baschi.
Tra le altre minoranze purtroppo non si è rilevata la presenza di musicisti o complessi da ritenere relativi all’articolo (pur potendo rivendicare esperienze rivoluzionarie passate interessanti, come la Repubblica dei consigli d’Alsazia e Lorena del 1918), a parte poche eccezioni come i Muckrackers, industrial metal dalla Lorena che fa uso anche del tedesco, e i La Manivelle, duo folk alsaziano che si è impegnato tra le altre cose nel campo dell’ecologismo.
Bibliografia essenziale:
Atlas of the stateless Nations in Europe, Mikael Bodlore-penlaez, Yolfa, 2013
Etnismo, François Fontan, Insula, 2018
La mê lenghe e sune il rock, Marco Stolfo, Informazione Friulana, 2011
Le ragioni dell’indipendentismo, Antonio Simon Mossa, Alfa Editrice, 2012
Matria e patria, Sergio Salvi, Insula, 2017
Sitografia essenziale:
Badok: https://www.badok.eus
Canzoni contro la guerra: https://www.antiwarsongs.org/index.php?lang=it
Eurominority.eu: https://www.eurominority.eu
Portal d’Occitània: http://www.chambradoc.it/portalDoccitania.page
Terre Celtiche Blog: https://terreceltiche.altervista.org
Trobasons: https://trobasons.viasona.cat/grops
Articolo a cura di Alessio Ecoretti
immagine tratta dal sito http://lingua.chez.com/

