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Punk e comunicazione: pratiche di protesta del movimento punk

Pratiche di protesta del movimento punk: dalla guerriglia semiologica all’utilizzo dei social network

L’articolo che vi proponiamo oggi è la tesi di laurea di Sara Stellacci intitolata “Pratiche di protesta del movimento punk: dalla guerriglia semiologica all’utilizzo dei social network”. Sara è un volto noto nella scena punk italiana, date la sua frequentazione di concerti e iniziative da diversi anni a supporto delle più disparate situazioni in tutta Italia, dunque quella che state per leggere è una tesi scritta da chi è dentro l’ambiente.
Per darvi qualche informazione in più, il corso di studi è scienze della comunicazione e questa è la tesi di laurea in analisi della comunicazione visiva.

Riportiamo qui l’introduzione della tesi e anche l’intervista fatta ad alcuni della nostra redazione. Vista la lunghezza, per leggere l’intera tesi mettiamo il PDF scaricabile QUI.

Introduzione:

La mia ricerca parte dall’assunto che il punk, nato come risposta ad una condizione postmoderna, di crisi dell’identità e dei valori passati, inventa modi alternativi di mettere in mostra il proprio disagio, che con il passare del tempo si modificano fino all’avvento dei social network.
In contrasto con molte teorie che considerano il punk morto dalla metà
degli anni 80 in poi, nel corso della mia tesi, descriverò tutte le pratiche
contro culturali del fenomeno e dimostrerò come esso non sia morto in
seguito al primo periodo, in cui manifestava il suo dissenso tramite la decostruzione dei significati della cultura dominante (guerriglia semiologica), ma abbia semplicemente cambiato aspetto e pratiche di protesta.

Durante il mio percorso universitario e parallelamente nella mia vita privata, ho sviluppato un interesse verso le sottoculture, la comunicazione online, i social network e la cultura visuale che mi ha portato a scegliere questo tema.
Non molto tempo fa, mi sono imbattuta in un saggio scritto da Alessia Masini “Siamo nati da soli. Punk, rock e politica in Italia e Gran Bretagna (1977-1984)”, che, come si intuisce già dal titolo, analizza la parte più politica di questa controcultura, dimostrando come il punk non sia solo creste, capelli colorati e A cerchiate, ma abbia anche delle ideologie di base che puntano alla decostruzione dei significati della cultura dominante.(Masini 2019)

Da qui è nata la mia idea di analizzare il fenomeno punk dal suo apice,
gli anni 70 e 80 quando era ancora del tutto contro i simboli della cultura
di massa e li riutilizzava affibbiandogli significati opposti, fino ai giorni nostri e l’avvento dei social network, per vedere come essi abbiano influenzato la sua evoluzione.

Il mio scopo è quello di dimostrare come da essere un esempio di guerriglia semiologica negli anni 70, sia diventato un movimento multiforme con varie sfaccettature e il suo rapporto con il mainstream, cultura di massa e media sia cambiato, come anche le pratiche di dissenso utilizzate.

Nel primo capitolo parlo delle origini del concetto di guerriglia semiologica sviluppato da Umberto Eco e di come possa essere ritenuta una pratica di protesta delle controculture degli anni 60-70, in particolare del punk, riprendendo anche alcune delle teorie del Centre for Contemporary Cultural Studies (CCCS) di Birmingham, come quelle di Dick Hebdige che metteva in mostra la dicotomia tra mainstream e sottoculture spettacolari.

Nel secondo capitolo analizzo la nascita e l’evolversi del fenomeno,
mettendo in evidenza le diverse pratiche di resistenza del movimento, e nella descrizione dei vari periodi evidenzio il fatto che il punk e l’hardcore siano nati come due risposte diverse al post modernismo, alla
frammentazione della società e in netta opposizione al passato (Moore
2004) e a partire dagli anni 90, ci sia stato, invece, un revival con la
ripresa dei vecchi elementi e una frammentazione del movimento al suo
interno che ha permesso lo sviluppo successivo di soggetti ibridi.

Nell’ultimo capitolo, intitolato Punk 2.0, parlerò di come il punk si sia adattato nel periodo del World Wide Web e di come abbia sfruttato Internet e i social network, espressione massima del capitalismo, a suo vantaggio, senza per questo mettere da parte le sue pratiche anticapitaliste.

Appendice 1 – Intervista ad alcuni componenti della redazione della webzine Radio Punk

Sara: Ciao ragazzi, Radio Punk ormai è un’istituzione nel mondo della musica punk e dei suoi sottogeneri. Mi parlereste brevemente dei principi su cui si basa il vostro progetto?

Radio Punk: Ciao, istituzione è decisamente esagerato, però ti ringraziamo! La nostra webzine nasce nel 2011 e si basa su valori fondamentali per noi, che sono anche alla base del punk, quali antirazzismo, antifascismo, anticapitalismo, antisessismo, do it yourself e quindi autogestione e assenza di gerarchie. Ci piace pensare che Radio Punk sia uno spazio dove chiunque possa esprimersi senza sentirsi troppo vincolato, in base alle proprie attitudini e possibilità.

Sara: Quando e perché vi è venuta l’idea di creare una webzine?

Radio Punk: Il progetto Radio Punk nasce dalla voglia di formare una webradio. Dopo pochissimo l’idea viene accantonata per varie questioni, così abbiamo deciso di fare un qualcosa di simile alle varie fanzine e webzine, differenziandoci però in particolare per la doppia lingua (italiano e inglese) di tutti gli articoli e per il supporto a tutti i sottogeneri del punk (dall’oi! al punk melodico, dal punk rock al crust, dall’har-dcore allo ska e così via…)

Sara: Avete mai pensato di creare una fanzine cartacea?

Radio Punk: Assolutamente sì, resta uno dei nostri buoni propositi.
Essendo Radio Punk un insieme di progetti (difatti oltre alla webzine
c’è la distro, l’etichetta indipendente, le autoproduzioni), la fanzine
come tante altre idee è “in cantiere”

Sara: ci sono molte persone appartenenti alla cultura punk e anarchica che rifiutano l’utilizzo dei social network per divulgare idee e musica, ritenete che il modo di comunicare tramite questi mezzi di comunicazione sia contro l’essenza del punk o che, a volte, sia giusto fare un compromesso con i cambiamenti?

Radio Punk: Compromesso è una parola che male si sposa con il
punk, vero però che i tempi cambiano e che questi sono tempi di particolare magra per la controcultura punk, se non addirittura per tutte
le controculture. Quindi si prova a tenere a galla il tutto e resistere – per
esistere – con ogni mezzo necessario. Capiamo assolutamente chi non
voglia entrare in certe dinamiche, d’altronde uno dei nostri paletti e
quello di non cedere alle sponsorizzazioni per avere più visibilità. Però ci rendiamo conto che i Social e Internet hanno il grande pregio di permettere una comunicazione più veloce e quotidiana e di far circolare le idee in ogni parte del mondo. In effetti la nostra presenza social è votata al supporto delle band poco conosciute da ogni parte del mondo ed inoltre per noi è molto importante perché ci permette di creare una connessione tra le vecchie generazioni e le nuove.

Sara: quale strada pensate che prenderà la comunicazione indipendente e autoprodotta in futuro? Le fanzine continueranno a coesistere con le webzine o si sposterà tutto sul web?


Radio Punk: Quale strada prenderà non lo sappiamo, però qualunque essa sia è fondamentale creare del ricambio generazionale e quindi cercare di stare con astuzia nei canali utilizzati dai giovani per portare avanti tutte le bellissime idee che stanno dentro questa controcultura. Riguardo la seconda domanda esse rispondono a due esigenze comunicative diverse, quindi secondo noi continueranno a viaggiare in parallelo. Ad ogni modo, qualsiasi sia il mezzo, pensiamo sia importante non smettere mai di darsi da fare e veicolare/discutere/confrontarsi per contrastare questa apatia che ci sta divorando.

Ci teniamo a ringraziare Sara per averci incluso nella sua interessantissima tesi e per averci permesso di pubblicarla. Vi invitiamo nuovamente a leggerla, potete scaricarla nella sua interezza all’inizio dell’articolo.

Credit photo: Stefano Belacchi

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