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Lost and Found 10 – Brucia ragione brucia: punk e salute mentale

Nel decimo episodio di Lost and Found scopriamo tre album punk che affrontano il tema della salute mentale

Già da tempo accarezzavo l’idea di scrivere anche io un episodio di Lost and Found, la rubrica di Radio Punk che invita a scoprire, o riscoprire, alcuni album più o meno recenti. Cercavo però una traccia, un filo rosso che unisse i dischi di cui parlare. Percorrendo mentalmente la mia lista personale di dischi che per un motivo o per l’altro meritano di essere ascoltati almeno una volta nella vita, mi sono balzati agli occhi tre dischi, legati da un tema comune: quello della salute mentale. Diverse le provenienze delle band e le lingue in cui sono cantati, diversi gli stili musicali, diversi gli approcci all’argomento. Il tema è delicato, ma le tre band riescono ad affrontarlo con lucidità e un pizzico di (auto)ironia.

Manovalanza – Anancasmi (2017)

anancasmo m sing (pl.: anancasmi) comportamento sintomatico delle persone affette da disturbo ossessivo-compulsivo: il soggetto non può mancare di compiere alcune azioni o di avere determinati pensieri. Da ananke, il destino ineluttabile in greco antico, in latino tradotto con necessitas. Il termine fa dunque riferimento all’ineluttabilità dei gesti ossessivi compiuti dagli individui affetti da questi disturbi.

La voce del dizionario ci spiega esattamente cosa significa il criptico titolo del concept album della storica band toscana. Skacore veloce e diretto per porre l’attenzione sui molto diffusi disturbi ossessivo-compulsivi, che a volte passano inosservati, a volte sono motivo di scherno, e in ogni caso provocano sofferenza in chi ne è affetto. I disturbi descritti nelle canzoni paiono estremi, ma la band assicura che esistono davvero e questa estremizzazione è un modo per esorcizzare il disagio con ironia. Il protagonista di «Vestiti usa e getta» detesta talmente il contatto con le persone che indossa gli abiti una volta sola perché “contaminati” dal tocco altrui.

Il tuo tocco è letale al mio abbigliamento

Lo so che questo ti lascia sgomento

Ma basta sfiorare questo mio maglione

Che la sua fine è dentro il bidone

La gente purtroppo non vuole capire

Quanto da anni io debba soffrire

Quello di «Mondo liscio» teme tutto ciò che interrompe la continuità della materia, dal palo che non riesce a schivare alla divisione tra le piastrelle.

Voglio modificare la materia

Per poterla attraversare

Il mondo lo voglio come piace a me

Non mi adatto alle piastrelle

Voglio un piano liscio senza caselle

Dopotutto, alzi la mano chi non ha mai fatto attenzione a piastrelle e scalini su cui mette i piedi. Non trovate estremamente liberatorio quell’«Odio le mattonelle!»?

Justin(e) – 06 72 43 58 15 (2017)

Il titolo dell’album è un vero numero di telefono che, come spiegato nell’omonima canzone, è possibile comporre per lasciare messaggi: chiedere spiegazioni sui testi, consigliare un libro o un film, raccontare un problema o semplicemente sfogarsi.

Non tutte le canzoni dell’album affrontano il tema della salute mentale, ma questo è uno degli argomenti ricorrenti nei testi di tutta la discografia della band punk rock francese (punk rock colto e raffinato, à la Guerilla Poubelle per intenderci), insieme a contenuti socio-politici e riferimenti storici e filosofici. Tutte queste tematiche sono intimamente legate, infatti il disturbo psichiatrico viene descritto soprattutto nell’utilizzo da parte del potere come stigma sociale e come pretesto per l’emarginazione e la repressione.

Cosa fare di tutte queste persone marginali e devianti?

E come far passare

L’orrore come cura?

Come incatenarli in modo diverso d’ora in poi

Alla loro vergogna, alle loro colpe,

A nuove punizioni?

(Brûle raison brûle)

Nell’album è presente anche una canzone dedicata a Frantz Fanon, psichiatra e filosofo francese nato in Martinica che lottò contro il colonialismo, autore, fra l’altro, di Pelle nera, maschere bianche, un saggio sugli effetti devastanti del razzismo sulla psiche umana.

In che modo il tuo impero mi costringe a vedere me stesso,

Miserabile psichiatria coloniale militare?

Sarò, per te, a malapena un animale,

Inferiore, ridicolo, infantile e malato?

(Frantz Fanon – 1915-1961)

Call me Malcolm – I was broken when you got here (2018)

L’album affronta, come del resto praticamente tutta la discografia della band (che tempo fa abbiamo intervistato), il tema della depressione, raccontato in prima persona con un humour tipicamente (e deliziosamente) British. Le canzoni, intervallate da una suadente voce femminile che invita a rilassarsi, parodia dei classici audio di self-help, descrivono gli stati d’animo di una persona depressa con un allegro ritmo ska-punk che crea un contrasto a effetto con il contenuto dei testi. Il protagonista si chiude in se stesso in preda alle sue voci interiori e sembra non voler cercare aiuto, e nemmeno le sedute dal terapista sortiscono effetto.

Sto perdendo la testa

E non riesco a controllare le voci

Così mi rintano nel letto

Ma la mia sanità mentale va a pezzi

(Inside out)

Poi ogni settimana

Quando parliamo

Non riesco a smettere di pensare

Che non agito le braccia

Perché credo di stare affogando

(In treatment)

L’unico spiraglio di luce viene dagli “amici senza nome”, quei volti della scena che vediamo spesso ai concerti e che con noi condividono mentalità e ideali.

Sono a pezzi, ma cazzo, adoro questa scena

Abbiamo i nostri amici

Contali 1, 2, 3, vai!

(All my nameless friends)

L’album termina con la solita voce che consiglia di riascoltare il disco se non ha sortito l’effetto terapeutico desiderato. In un caso o nell’altro, è facile aver voglia di premere di nuovo play…

Elvira Cuomo

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