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Recensione: Infamia – Self Titled

Il nuovo album dei modenesi Infamia

A suon di tamburi e schitarrate siamo introdotti e accolti a questa nuova omonima prova dei modenesi Infamia. Eredi della tradizione hardcore punk italiana degli anni Ottanta (ma con evidenti influenze metal, non lo si può censurare), sono ruvidi, crudi, cinici, aggressivi e impegnati contro questa società di apparenze e ingiustizie. Si auto-descrivono sulla loro pagina Facebook come dark hardcore e death punk, definizioni che calzano a pennello al complesso, viste le tinte fosche di alcuni pezzi, come “Noi siamo i morti” (che parla di sfruttamento, schiavitù e omologazione), “Tenebre padane” e “Insonnia”, titoli che esprimono tutto fuorché gioia di vivere. L’estetica della band riprende quella dei gruppi crust alla Tragedy/Witch Hunt, anch’essa molto parca di felicità. I testi non possono non ricevere il plauso dei punks esistenzialisti (in particolare “L’aria che tira”) che, anche se più o meno non ci sono sostanziali novità, sono migliori della media e sono ben accompagnati dalla base. Inoltre, sono comprensibili e chiari, e questo è molto ma molto bene visto che della metà dei gruppi hardcore ascoltati negli ultimi mesi non ho capito un cazzo, per quanto riguarda gli argomenti trattati. Anche qualche apprezzata prova tecnica, come in “Spleen”, che accompagna la depressione cantata splendidamente.
Breve storia: anarcho-punk, nati nel 2003 come Kattiva Kompagnia*. Hanno suonato un po’ in giro, prevalentemente in T.A.Z. e posti occupati (daje, bravi), anche all’estero.
Non c’è che dire, daje Infamia, ci vorrebbe qualche band in più con questo tiro e qualche trapper in meno.
P.S. importante: “Agli Infamia i preti fanno cagare”

*richiesta e appunto personale slegato dal resto dell’articolo e che non rappresenta una critica alla band: sono contento che abbiano cambiato nome anche perchè mettere le K al posto delle C nel nome non è più originale da quando i rivoluzionari statunitensi negli anni Sessanta incominciarono a scrivere “Amerikkka” come critica nei confronti delle politiche razziste e reazionarie del governo (KKK come il Ku Klux Klan). Possiamo andare oltre quest’abitudine estetica puerile? Fa schifo, però continuano ad apparire una marea di band con nomi contornati di K e originali quanto Sbirulino che inciampa.

Recensione a cura di Alessio Ecoretti